12/07/2019
Il degrado dell'informazione sulla vicenda Logli

Il rispetto delle dignità delle persone non può essere barattato per accrescere l’audience. L’Osservatorio sull’informazione giudiziaria e la Giunta sulla vicenda Logli

Nella serata di mercoledì 11 luglio alcuni palinsesti televisivi hanno fornito ai telespettatori l’ingombro di una feroce spettacolarizzazione del dolore.
Era stata preannunciata la comunicazione del dispositivo con cui la Corte di Cassazione avrebbe risolto il tema della responsabilità di Antonio Logli per l’omicidio di sua moglie Roberta Ragusa.
Attendere il verdetto di un processo mediatico in diretta rappresenta senza dubbio l’atto finale di una commedia umana, fa più share di un reality show e quindi, via con ricostruzioni, commenti, insinuazioni, rivendicazioni di meriti per la risoluzione del caso.
Alcuni giornalisti si sono scatenati: ce n’erano appostati ovunque, dall’ingresso della Corte di Cassazione sino all’abitazione degli anziani genitori dell’imputato, allo spazio antistante il B&B dove l’imputato stava attendendo insieme ai due figli ed alla compagna il pronunciato del Giudice di legittimità.
Tra un frammento e l’altro di suggestive ricostruzioni della vicenda gli invitati alle trasmissioni facevano pronostici, quando le loro parole venivano interrotte dall’esito della Sentenza: la Corte è entrata in aula, sta dando lettura del dispositivo. Goal! Ricorso dichiarato inammissibile. Logli condannato in via definitiva per l’omicidio di sua moglie.
Carrellata veloce sui parenti della vittima, interviste fugaci ai difensori di parte civile e dell’imputato, incursione violenta delle telecamere per cogliere il dolore degli anziani genitori e per cercare di catturare qualche immagine dall’esterno del B&B nel quale l’ormai condannato si trovava.
Il primo insegnamento è pervenuto dal Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione che, uscito dal Palazzo, ha dribblato con signorilità i cronisti dicendo: “il Procuratore Generale parla in aula, non commenta”.
Nel mentre, arriva la notizia che l’esecuzione della Sentenza è già in corso e a quel punto  le telecamere di Quarto Grado non perdono più di vista la porta d’ingresso del B&B fino a che sopraggiunge una macchina dei Carabinieri.
Il conduttore della trasmissione plaude al cameraman che nella tensione di cogliere ogni attimo riprende addirittura la scena con la telecamera sulla testa, pronto ad immortalare il volto del condannato, una volta uscito dal suo rifugio.
La seconda lezione ce la dà un sottufficiale dei Carabinieri che ha l’accortezza di far coprire il viso ad Antonio Logli, e con l’umanità che contraddistingue la gente perbene, usa il proprio corpo come scudo, per accompagnare il condannato all’interno della macchina così impedendo di ritrarlo nel rispetto di quanto stabilito dalla Legge.
Sale la delusione in studio: il volto era coperto e le lacrime non si sono viste.
Ad un tratto si viene a sapere che Logli verrà portato al carcere di Pisa: una nuova corsa verso questo istituto in trepidante attesa dell’arrivo della macchina dei Carabinieri.
Ed ecco che il Procuratore della Repubblica di Pisa impone che Logli venga tradotto in un altro carcere, quello di Livorno, sulla porta del quale nemmeno i cronisti più attrezzati ed i cameramen più zelanti hanno avuto il tempo di arrivare.
Antonio Logli riesce quindi a fare ingresso in un carcere dove sarà costretto a restare per molto tempo senza che nessuno abbia il piacere di leggere il suo sguardo impaurito e la sua disperazione.
Noi non conosciamo gli atti: non sappiamo se la verità processuale sia aderente a quella sostanziale, sappiamo della condanna di un uomo a vent’anni di reclusione, immaginiamo il dolore dei suoi figli, dei suoi genitori e di ogni altra persona che a lui, colpevole o meno che sia, vogliono bene, comprendiamo, in ogni modo, la soddisfazione che le parti civili, se convinte della sua responsabilità, possono legittimamente provare.
Nessuno però doveva avere diritto di compiacersi del dolore altrui.
Quello che è successo nella notte tra l’11 e il 12 luglio rappresenta la sublimazione del processo mediatico,  lo scoglio contro il quale ogni coscienza composta si infrange.
A noi va soprattutto di registrare la lezione che questa volta è venuta dagli uomini dello Stato, alti Magistrati o Sottoufficiali dei carabinieri che ci hanno insegnato come la Legge va interpretata e vissuta, nel rispetto di ogni uomo, anche se ritenuto colpevole.
Speriamo che i signori dell’Etere prendano esempio da queste professionalità ed imparino il rispetto del dolore che non può essere barattato per accrescere l’audience.
Roma, 12 luglio 2019
La Giunta
L’Osservatorio sull’informazione giudiziaria
 

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