29/10/2021
Le modifiche legislative presentate dal Governo in materia di interdittive antimafia e controllo giudiziario

Pubblichiamo il documento con la posizione dell'Osservatorio misure patrimoniali UCPI

Nelle scorse ore gli organi di stampa hanno dato notizia del contenuto del decreto legge che il Consiglio dei Ministri ha approvato in materia di Recovery, nel quale sono state inserite due importanti modifiche al codice antimafia che vanno ad incidere sulle interdittive, per un verso, introducendo il contraddittorio endo-procedimentale finora solo eventuale, per altro verso, coniando una nuova misura amministrativa meno ‘afflittiva’ per le ipotesi di tentativi di infiltrazione occasionali denominata “prevenzione collaborativa” che condivide la medesima ratio del controllo giudiziario volontario, ma si caratterizza per una disciplina meno ‘invasiva’ e ancor più dialogica con il destinatario.

Il testo in esame merita naturalmente una riflessione attenta, che ci riproporremo di avviare chiamando a raccolta i migliori studiosi della materia.

Ad un primo sguardo d’insieme, la sola volontà di mettere mano, introducendo garanzie e limiti, ad un istituto fra i più rilevanti e, al contempo, tra i più draconiani previsti dal codice antimafia, non può non essere letta come una significativa e apprezzabile inversione di tendenza del legislatore contemporaneo rispetto a quella strenua resistenza che alcune forze parlamentari che fanno parte del quadro politico attuale hanno sempre manifestato avverso ogni cambiamento di questo genere. Resistenza che, sotto l’insegna sempre accattivante della lotta alla criminalità organizzata, ha precluso in passato, anche in occasione di precedenti interventi di riforma del codice antimafia, l’estensione alla prevenzione amministrativa antimafia delle garanzie costituzionali minime, connotative di un ordinamento giuridico di stampo liberale, poste a presidio del diritto di difesa e del principio di legalità delle misure limitative di diritti fondamentali.

L’osservatorio e tutti i penalisti italiani, da alcuni anni sostenuti dalla migliore espressione della comunità dei giuristi, hanno messo al centro del proprio impegno politico  l’intero sistema delle misure di prevenzione, ritenuto sotto molteplici profili estraneo ai principi del diritto penale costituzionale e del giusto processo, il quale nel corso degli anni ha finito per acquisire le forme di  un autentico sottosistema parallelo al processo penale vero e proprio, in grado di colpire con altrettanta efficacia e sicuramente maggiore facilità e celerità diritti fondamentali dei proposti, in assenza di adeguate garanzie e sulla base del mero sospetto.

In un simile contesto di eccezionalità, l’Osservatorio ha da tempo segnalato la assoluta urgenza di un drastico ed immediato ripensamento dell’attuale disciplina del sottosistema delle c.d. misure di prevenzione amministrativa ed, in primis, del loro istituto cardine: l’interdittiva antimafia. Questa misura, infatti, osservata anche alla luce delle recenti pronunce della Corte EDU, pur rappresentando un fondamentale baluardo a tutela degli appalti pubblici e delle imprese che operano sul mercato economico in perfetta osservanza della legalità rispetto a forme pericolose di infiltrazione mafiosa, si connota in non pochi punti come una inspiegabile e intollerabile ansa giuridica in cui riecheggiano retrive logiche da Stato di polizia e da regime inquisitorio.

 Il Manifesto del diritto penale liberale e del giusto processo, ed il programma politico del presidente Caiazza approvato dal congresso, avevano evidenziato la necessità di intervenire per arrestare quel processo degenerativo dei fondamentali principi dello Stato di diritto rappresentato dalla prevenzione e, all’interno di essa,  dal sistema delle interdittive, soprattutto nell’attuale frangente storico, potendo rivelarsi, in caso di un impiego eccessivamente esteso, strumento in grado di bloccare un sistema economico in una delicatissima fase di auspicabile ripresa.

L’ambizioso progetto politico di riforma liberale cui si ispira la proposta di modifica legislativa che l’osservatorio ha elaborato si articola principalmente in queste direzioni:

- il rispetto delle condizioni minime di prevedibilità della applicazione delle misure, che passa attraverso una indicazione predeterminata dei presupposi di fatto sulla base dei quali esse possono essere applicate;

- la sottrazione del potere di adottare l’interdittiva al Prefetto, per riportarlo nella sede giurisdizionale, attribuendo agli Uffici di Governo del territorio il solo potere investigativo e di proposizione della misura;

- la previsione di un sistema di controllo effettivo sulla applicazione delle misure, sottraendolo al vaglio meramente formale del giudice amministrativo ed affidandolo a quello più penetrante e di merito del Tribunale di prevenzione;

- la ineludibile possibilità di svolgere un contraddittorio endo-procedimentale antecedente alla misura, nell’ottica della esigenza minima di assicurare uno spazio di difesa in grado di scongiurare la emanazione della interdittiva.

L’impianto complessivo di questo intervento del Governo sembra recepire alcune soltanto delle indicazioni della dottrina e dell’osservatorio, contenute nella nostra proposta di riforma.

Indubbiamente, la scelta operata sul piano ‘sostanziale’ di previsione della prevenzione collaborativa, quale misura nuova alternativa alla interdittiva capace di anticipare, di fatto, nella fase amministrativa, i contenuti di self–cleaning tipici del controllo giudiziario ex art. 34 bis – fino ad oggi adottabile solo dal giudice ordinario a seguito della impugnazione dell’interdittiva dinanzi al giudice amministrativo – segna un passo espressivo di un intento riformatore che guarda nella direzione del recupero e del reinserimento progressivo e monitorato nel tessuto economico-sociale lecito di imprenditori solo occasionalmente lambiti, o addirittura in tanti casi vessati, dalle mafie.

Sotto questa chiave di lettura, un segnale di svolta rispetto al passato è innegabile, laddove l’impianto legislativo era connotato invece da una impostazione di tipo bellico-giuridico incentrata sulla esclusione ‘immediata’ dal circuito degli appalti pubblici dei soggetti ritenuti, sulla base di elementi poco definiti e della logica incerta del ‘più probabile che non’, anche solo potenzialmente pericolosi. Sicuramente, con la nuova misura si smussano gli evidenti dubbi di compatibilità della disciplina pregressa con il principio di proporzionalità, sollevati dalla irragionevole assimilazione all’interno dell’art. 84 c.a.m. della c.d. contiguità mafiosa compiacente e della contiguità soggiacente e dalla previsione dell’interdittiva come ‘misura fissa’ per un gamma di situazioni considerate sintomatiche della infiltrazione mafiosa profondamente eterogenee (si oscillava dalle condanne in primo grado di uno dei soggetti apicali dell’impresa per il delitto di associazione di tipo mafioso di cui all’art. 416 bis c.p. alla omessa denuncia di una estorsione mafiosa).

Analogamente, non si può non valutare con favore l’introduzione del contraddittorio endo-procedimentale, che recepisce una esigenza di difesa obiettivamente non più postergabile, ma che viene pericolosamente posizionata in avanti, ossia nella fase nella quale la autorità abbia già raggiunto il convincimento della sussistenza dei presupposti per la applicazione delle misure, con ovvia difficoltà per il proposto di addurre nel ristretto termine di venti giorni elementi a propria difesa quando gli elementi “a carico” siano già condensati in un giudizio prognostico a lui totalmente sfavorevole.

Tuttavia, ad una più attenta osservazione, dietro le innegabili luci che la riforma proietta nella oscura notte hegeliana della prevenzione amministrativa, si intravedono non poche ombre.

In primo luogo, infatti, la novella mantiene inalterato quel deficit di predeterminazione dei presupposti applicativi delle interdittive antimafia, conservando anche le lett. d) ed e) dell’art. 84 c.a.m., che ne legittimano l’adozione sulla base non di dati fattuali o giuridici predeterminati ed accessibili/conoscibili dai destinatari, bensì di ‘ogni indagine’ disposta dal Prefetto, la cui genericità si estende oggi anche al concetto di occasionalità che rappresenta l’elemento su cui poggia la diversificazione della scelta delle misure prefettizie anti-infiltrazione mafiosa.

 In secondo luogo, la riforma non realizza l’auspicata giurisdizionalizzazione delle interdittive antimafia, bensì ne enfatizza la dimensione amministrativa. Ed infatti, non solo non elimina il potere del Prefetto, che la nostra proposta mira a circoscrivere al ruolo di proponente, ma, al contrario, ne valorizza ed esalta la sfera operativa, delegandolo alla gestione delle indagini, alla decisione sulla sussistenza dei presupposti e sul vaglio degli elementi difensivi portati dal proposto attraverso il contraddittorio e, infine, alla scelta ed alla attuazione delle misure tipiche di gestione aziendale, sollevando anche più di una perplessità sulla sussistenza delle competenze tecniche per  addentrarsi nel terreno aziendale.

Inoltre, la riforma non affronta il nodo centrale del vaglio giurisdizionale sulle misure prefettizie, che rimane affidato al riscontro puramente formale del giudice amministrativo di legittimità del provvedimento difficilmente censurabile anche a causa della genericità dei presupposti applicativi, mentre Tribunale di prevenzione entra in gioco solo quando venga presentata richiesta di accesso alla misura di prevenzione del controllo giudiziario, con il cortocircuito di garantire un vaglio più profondo e pieno dell’autorità giudiziaria ordinaria alla misura lenitiva degli effetti piuttosto che a quella costitutiva degli stessi. E con il cortocircuito ancor più eclatante di assicurare alle imprese ‘strutturalmente mafiose’ a cui si applicano le misure di prevenzione c.d. giurisdizionali, in primis la confisca, un livello di garanzie più elevato rispetto alle imprese solo occasionalmente oggetto di ‘più probabili che non’ tentativi di infiltrazione mafiosa, magari nella sotto-forma della c.d. contiguità soggiacente.

Sembra infatti rimanere nel ‘non cale’ la circostanza per cui  le interdittive non sono provvedimenti che si adottano nei confronti di imprenditori ‘mafiosi’ ma, anzi, all’opposto, presuppongono la non mafiosità del destinatario e, teoricamente, potrebbero essere utili a ‘liberarlo’ dai tentativi di condizionamento provenienti ab externo; esse incidono sulle imprese lecite che operano nel settore dei contratti pubblici, andando a toccare forme di contiguità anche soggiacente con la criminalità organizzata, vale a dire anche quelle in cui sia vittima di pressioni e attività estorsive o para-estorsive e che, quindi, sono persone offese di un reato

Allo stesso modo, non viene affrontato e risolto il paradosso giuridico, difficilmente compatibile con il principio di non contraddizione dell’ordinamento giuridico, generato dalla vigente disciplina delle interdittive, in forza del quale si considera un imprenditore vittima di una vicenda estorsiva, sul versante del diritto penale sostanziale, persona offesa del reato e, sotto quello della prevenzione, destinatario di una misura prefettizia dal potenziale effetto demolitivo.

Nel complesso, questo intervento, sebbene animato dal condivisibile intento di lenire gli effetti devastanti delle interdittive sulle imprese che operano nel settore degli appalti pubblici, continua a mantenere in secondo piano il loro risvolto negativo per le libertà ed i diritti fondamentali dei destinatari, la loro natura di arma a doppio taglio che incide in modo penetrante sul diritto di proprietà e sulla libertà di iniziativa economica dell’interdetto, non eliminando il pericolo che  possa essere disposto sulla base di elementi giuridici o fattuali ancor più diafani di quelli richiesti per le misure di prevenzione e sintomatici di ‘eventuali tentativi di infiltrazione’ mafiosa.

In questo quadro, torneremo fortemente a sensibilizzare le forze politiche per procedere ad un riesame dell’intervento legislativo che consenta di adeguarlo compiutamente ai principi di un moderno diritto sanzionatorio e preventivo convenzionalmente e costituzionalmente conforme.

Le riforme appena varate, infatti, devono essere considerate, piuttosto che come un definitivo approdo della parabola evolutiva della prevenzione amministrativa, come un primo punto di partenza verso una loro più radicale riorganizzazione in cui, è opportuno ribadirlo, rispetto ad imprese non mafiose, ma solo oggetto di tentativi di infiltrazione, prevalga definitivamente una logica bonificativo-recuperatoria e si assicuri il rispetto delle garanzie minime sia sul versante della base legale delle misure applicabili, espungendo le situazioni sintomatiche assolutamente indeterminate, sia sul piano processuale, attribuendo la competenza alla loro adozione alla giurisdizione ordinaria.

Roma, 29 ottobre 2021

Avv. Paolo Giustozzi

Avv. Enzo Zummo