Gogna mediatica: la condanna senza processo - di Carlo Morace - aprile 2013

L'Europa ci bacchetta per la inefficienza della macchina della giustizia, per le lungaggini processuali, per la situazione delle carceri, e a fronte di un totale inattivismo riformista i nostri politici non trovano di meglio che prendere tempo attraverso improvvidi ricorsi contro le decisioni della Corte EDU.
Eppure la difesa rispetto alle accuse sarebbe facile da sostenere, tanto da legittimare il dubbio che determinate prassi siano da considerare alla stregua di esimenti precostituite.
Basterebbe, infatti, dire che i processi non si fanno perché sono una inutile perdita di tempo e sono preclusi da un ne bis in idem sostanziale e processuale tutto italiano. Si dovrebbe spiegare ai partners europei che in Italia le condanne sono immediate, che il processo é altro rispetto a quello previsto dal codice e che, quindi, le sanzioni colpiscono fenomeni accessori rispetto alla realtà.
Tanto per esemplificare, ci si lamenta per la eccessiva burocratizzazione dell'istituto delle notifiche degli atti giudiziari e si discetta sulla necessità di prevedere in forma generalizzata la notifica al difensore. Il paradosso consiste nel fatto che tutti sanno che in Italia proprio il sistema delle notifiche, questo mostro da snellire, é di una efficienza ineguagliabile. Addirittura, spesso sono i colleghi di lavoro ad informare l'indagato in merito alla sua qualità e alla contestazione mossagli, altre volte l'interessato apprende le liete notizie al bar all'ora del caffè, alcune volte dal vicino di casa incontrato la mattina sul pianerottolo e finanche, se proprio é il suo giorno fortunato, acquisisce la notizia direttamente al momento di accendere il computer alle 6 di mattina. Insomma, nell'epoca della diffusione telematica l'Italia é già nel futuro, la globalizzazione della informazione di garanzia, con notifica mediatica, é ormai uno strumento di conoscenza testato e di grande efficacia. All'indagato é risparmiata anche la fatica di recarsi dall'avvocato per decifrare il contenuto dell'atto ancora da notificare, così come quella di divulgare alla collettività l'esistenza dell'atto ancora da considerare segreto, fatiche escluse grazie alla chiara opera ermeneutica effettuata dai media. Ma poi, al fine di rendere maggiormente edotto l'interessato é prevista la reiterazione della notizia sulla stampa nei giorni successivi, in modo che si scongiuri il rischio di eccezioni di nullità per mancata conoscenza della contestazione.
Dicevamo delle lungaggini processuali, anche a questo si é posto rimedio, basterebbe dirlo e i rilievi dei nostri confinanti verrebbero meno. Nel giro di un giorno gli elementi di prova, quelli formati nelle stanze della polizia giudiziaria e del pubblico ministero, vengono passati al vaglio della collettività, senza risparmiare nulla, men che meno i dettagli della vita privata, irrilevanti ai fini del giudizio, ma che magari possono far sì che il fortunato non debba pagare un detective privato per conoscere la condotta del coniuge e viceversa, oppure le opinioni di parenti e amici, con velocizzazione anche dei giudizi civili. E poi dicono che la giustizia penale non funziona! In un solo giorno si viene giudicati, e la sentenza é definitiva, con gioia enorme di chi vede nell'appello una perdita di tempo e ancora non si é accorto che tutto sommato l'argomento vincente per eliminarlo é proprio questo: a che serve l'appello se la sentenza é già definitiva prima ancora dell'inizio del processo di primo grado, semmai dovrebbe rinunciarsi anche a quest'ultimo!
E poi qualcuno parla di gogna mediatica, di condanna senza processo e ha il coraggio pure di lamentarsene. Non esiste giustizia più efficiente di quella che rende irrilevante anche la successiva archiviazione per infondatezza della notizia di reato, della quale il più delle volte il soggetto indagato potrà anche fare a meno, altre volte se ne servirà per raccontare ai nipoti come si può essere condannati sostanzialmente da tutti e, poi, assolti formalmente da qualcuno. Ma poi, ragionando, a chi giova celebrare un processo che se va bene costerà fatica e farà espiare anni di carcere nel privato di una angusta cella, se l'indagato in un solo giorno può essere pubblicamente e perennemente immortalato in manette ancor prima di qualunque contraddittorio. Tra l'altro, esiste sì un divieto di pubblicazione della persona in manette ma la sanzione per la trasgressione dello stesso é di fatto inesistente.
Il vero problema è che questo mirabile sistema non è frutto del nostro ingegno ma è il riflesso della nostra cultura, che spazia incredibilmente trai due poli opposti costituiti, da un lato dalla assuefazione indebita al delitto, dall'altro dalla colpevolizzazione sulla base di giudizi sommari. Forse è il caso di riformare la giustizia partendo dalla cultura della legalità e della prova e così individuando ciò che rappresenta una ingiustizia, si riuscirebbe ad evitare che alcuni pensino soltanto alla ribalta mediatica e altri della stessa siano vittime inermi, condannati senza processo e senza possibilità di appello.

Carlo Morace