L'intervento del Prof. Spangher al Congresso di Cagliari - settembre 2015

di Giorgio Spangher

Ringrazio il Presidente Migliucci delle affettuosissime dichiarazioni di ieri, che ricambio. Ognuno lavora, vedete, con la sua cassetta degli attrezzi e io lavoro con la mia. Io dico che guardando un processo penale - guardate parlerò poco - si capisce tutto. Si capisce tutto di un paese; si capisce perché non c’è niente di più politico del processo penale; perché si capisce come sta il rapporto fra processo e paese sotto il profilo della democrazia; si capisce anche dentro al processo e fuori da esso dove stanno i poteri.

Ci sono due possibili definizioni del processo penale. Il processo penale è finalizzato, attraverso delle regole, ad accertare se una persona ha commesso un fatto e se un fatto è avvenuto. Questa è una definizione. Ce n’è un’altra: il processo penale, attraverso delle regole, accerta se un fatto è avvenuto e se una persona l’ha commesso. Queste due affermazioni apparentemente sono uguali, ma rappresentano due mondi e su questi due approcci al processo penale noi continuiamo a non capirci, perché naturalmente una visione del processo porta a determinate conseguenze logiche, coerenti, purché, come dice Canzio: “Tutto si tiene”, l’altra porta ad altre conseguenze. Faccio un esempio: l’igiene processuale. Ne parlerò successivamente a proposito dell’abbreviato. Vedete, noi siamo caduti, a mio sommesso avviso, in una trappola, la trappola del contraddittorio, al di là di ciò che dice Delfino Siracusano. In un recente convegno a Ferrara si parlava del contraddittorio e mi sono non divertito, ho chiesto ad un mio assistente di cercare, attraverso internet, se nella legge delega figurava la parola “contraddittorio”. Non figurava la parola “contraddittorio”. Figurava un’altra parola: “oralità”. Vedete tra contradditorio ed oralità c’è la differenza dei modelli processuali. Vi siete mai chiesti perché l’unica nullità assoluta del Codice di Procedura Penale sia il 525 comma 2? Perché? Perché il principio di oralità era centrale nella riforma dell’88; non lo era il principio del contraddittorio, che era la conseguenza dell’oralità, non la premessa del processo. E quindi io vi invito caldamente, cari avvocati, a difendere strenuamente l’art. 525 comma 2, che è sotto attacco costante. E vi chiedo la cortesia, quando chiedete la rinnovazione, di sentire, magari per fargli una domanda sola a quel testimone che volete risentire, perché se cade l’art. 525 comma 2 cade l’ultima forma di oralità del processo. Fortunatamente per noi c’è anche chi sta peggio di noi: ci sono i moldavi, ci sono gli ucraini, ci sono i rumeni e dobbiamo ringraziare gli ucraini, i rumeni e i moldavi se ci hanno spiegato che davanti al giudice d’appello la prova si deve rinnovare, nell’oralità; dobbiamo ringraziare la Corte Europea, perché altrimenti noi saremmo caduti nella trappola del contraddittorio, che è una garanzia e nessuno la vuole escludere, ma l’oralità lo è di più. L’oralità è molto più per il processo, e su questo tornerò.

Ringraziamo, quindi, la Corte Europea: adesso abbiamo un presidente italiano della Corte Europea. Bisogna però vigilare finché, guardate, anche la Corte Europea è sotto attacco, è sotto attacco della nostra Corte Costituzionale; penso alla sentenza 49 del 2015 sul caso Varvara. C’è una norma del Codice di Procedura Penale, anzi una norma di attuazione, che nessuno si ricorda che c’è, ed è l’art. 146 delle disposizioni di attuazione che vi descrive l’aula dell’udienza e vi dice che il testimone va visto, sta scritto nel Codice di Procedura, ed è frutto di quella logica che sposta il processo sul dibattimento e non sul contraddittorio. Perché di contraddittori ne abbiamo tanti, ma sono deboli rispetto all’oralità. Il contraddittorio ci ha permesso di avere un 238 bis, un 190 bis, un 392, un recupero di tutto. Dicevo pensate perfino la II Sezione della Cassazione recentemente ha emesso una sentenza di applicazione dell’art. 525 comma 2, però c’erano stati due giudici, in primo grado e in secondo grado, che avevano negato la rinnovazione, e la Cassazione ha dovuto annullare.

Sulla ipotizzata Riforma Orlando, ci sono alcuni elementi negativi, ne parlerà Filippi. Io ritengo che nella delega delle intercettazioni c’è un punto di grande debolezza: l’art. 103. Quella frase, quella direttiva, è troppo scarna. Mi avevano chiesto di fare, di suggerire un’ipotesi di modifica della direttiva, quell’indicazione del mero difensore, innanzitutto, è modesta, perché non c’è solo il difensore, c’è il consulente tecnico e c’è anche l’investigatore privato. Il 103 va riscritto. La formulazione dell’art. 104 non mi piace, perché non vorrei che fosse lo strumento per dire tutte le volte in cui ci sono quei reati si può fare il differimento del colloquio col difensore; non vorrei che la formula inducesse a ritenere che c’è una sorta di apertura a differire, e comunque lo ridurrei ai tre casi, ai tre casi di cui all’art. 275 comma 3, non tutto l’art. 51 comma 3 bis, quater e quinquies.

C’è una cosa che mi interessa naturalmente, vado per punti, perché tanto parliamo tra persone che si capiscono, bisogna assolutamente omologare le discipline delle misure cautelari personali con quelle reali; non è più possibile concepire le cose al di fuori delle garanzie.

DOTT.SSA LA ROSA

Scusi professore, ci sono anche molti giornalisti in sala quindi magari se non solo per…

PROF. GIORGIO SPANGHER

Sì, glielo spiego. Si deve omologare la disciplina di garanzia delle procedure di impugnazione delle misure cautelari reali sulle misure cautelari personali. C’è un attacco all’art. 324 comma 7 da parte della giurisprudenza che va assolutamente stoppata. Tornerò.

C’è un secondo piano, spero di essere chiaro, per chi fa questo mestiere capisce cosa vuol dire misure cautelari personali e misure cautelari reali e come sono diverse le due discipline che invece vanno omologate: la fabbrica non è mattoni, la fabbrica è cose, è anima, è operai, è azienda, è lavoro, è tutto. Si deve parlare di libertà al plurale, non solo di quella fisica.

(Applauso).

Stiamo arrivando in ritardo su di un punto. In ritardo, perché bisognava capirlo prima ed intervenire prima, torneremo a parlarne a Cagliari tra un mese: lo spostamento che c’è tra il processo penale e la prevenzione. Si cerca di spostare l’ottica del processo già debole, con garanzie deboli, su un procedimento di prevenzione ancora meno garantito. Questo non è ammissibile.

(Applauso).

Vado per punti poi arrivo all’ultimo.

La prescrizione: ho sempre fatto, meglio faccio ultimamente una provocazione, togliamola la prescrizione. Qual è la durata ragionevole del processo? Perché vorrei capire qual è la durata ragionevole del processo. Finora la durata ragionevole del processo è stata utilizzata per ridurre le garanzie. Cioè si dice: siccome c’è la durata ragionevole del processo si riducono le garanzie.

(Applauso).

Molto bene. Molto bene. Allora diciamo la battaglia sulla prescrizione non si può fare, ma allora deve essere accompagnata da cadenze rigorose. Io so, come ha detto un collega magistrato, non mio collega, vostro collega magistrato, che se c’è una cosa per la quale i magistrati hanno l’orticaria che li rende ansiogeni sono i termini e l’abbiamo visto con l’art. 415 bis, ma i termini servono all’imputato innocente. Ora la garanzia costituzionale della durata ragionevole è un elemento essenziale. Volete allungare la prescrizione? Accompagnatela, almeno, con la durata ragionevole del processo; ma individuare la durata ragionevole del processo vuol dire individuare le sanzioni per la violazione della durata ragionevole del processo.

(Applauso).

Non ci sono santi, perché allungare la prescrizione vuol dire allungare il processo ed allora quell’allungamento va compensato con durata ragionevole. In Germania, io sono contrario, si ottiene una riduzione di pena; si può, invece, annullare il bonus: cioè, hai sfondato, non recuperi il tempo della sospensione. Bisogna trovare un equilibrio tra questi due momenti, se n’è discusso ieri. Oppure sarebbe meglio la perdita dell’azione secondo la proposta Fiorella, ma a tanto non si potrà arrivare.

Il modello. Lei mi chiedeva prima che cosa penso. Recentemente ho visto un film, amo molto il cinema, giustamente diceva quest’avvocato: “È più facile con questo processo difendere un colpevole che un innocente”. Vi spiego perché. Perché il modello processuale che si sta costruendo è tutto legato sul colpevole che si vuol far uscire dal processo. Patteggiamenti, nessuna opposizione al decreto penale, rito abbreviato, messa alla prova, condotte riparatorie, etc.  Vi faccio una domanda, ma è possibile che nella legge italiana si possa scrivere che si fa un abbreviato su prove infette? Ma è possibile che si dica che non si possa proporre un’eccezione di incompetenza per territorio, di nullità e di inutilizzabilità? Però state attenti è un boomerang, perché da nessuna parte sta scritto che le prove inutilizzabili sono quelle dell’accusa; se l’avvocato vi presenterà prove inutilizzabili della difesa,  saniamo anche quelle? Se si presenteranno prove nulle, per nullità intermedia presentate dalla difesa, saranno sanate pure quelle? Certo che sì. Ma mi pare che sia un po’ esagerato. Patteggiamento? Ma il patteggiamento ormai è diventato una condanna; dopo l’ultima modifica, addirittura bisogna fare le restituzioni. Cioè, si prevedono, anche le condotte riparatorie, in altri termini si instaura un meccanismo di natura premiale per il colpevole. Siccome so che devo andare in fretta vi faccio una domanda, vi dico ancora una cosa. La battaglia sulla confessione, la richiesta di condanna, attenzione, è stata una vittoria a metà, perché sostanzialmente neppure la magistratura la voleva, perché veniva ad affermare sostanzialmente che premiava il colpevole, quello che non aveva nulla da perdere, nel senso che c’erano già tutte le prove della responsabilità ed avrebbe addirittura avuto uno sconto di pena. Cioè, il sistema è costruito tutto sul colpevole. E allora la domanda è questa: e l’innocente? Ecco, io qui propongo una cosa alle Camere Penali: l’innocente che rischia il processo, l’innocente che rischia il processo e lo ottiene, perché non accetta gli sconti di pena, perché scommette sulla sua innocenza, che diritti ha? La domanda è: che diritti ci sono rispetto alle confische, ai sequestri rivelatisi ingiusti? Che diritto ha l’innocente che non ha accettato e che ha ottenuto il riconoscimento dell’innocenza quando nei confronti delle iniziative difensive sono aumentati anche i costi, i rischi delle sanzioni alla cassa delle ammende per le impugnazioni inammissibili o per i gravami rigettati? C’è un principio che le Camere Penali devono fare proprio; questa è la battaglia politica delle Camere Penali: il riconoscimento della rifusione delle spese di difesa. Questo è un elemento fondamentale. Fondamentale.

(Applauso).

E dico anche perché: perché, vedete, le battaglie si fanno per i diritti e se volete aggregare al referendum sulla separazione delle carriere qualcosa di utile abbinatelo con il riconoscimento del diritto ai risarcimenti per l’innocente. C’è una garanzia costituzionale, l’art. 24 Cost., riparazione dell’errore giudiziario che non è solo revisione e c’è un articolo 2 della Costituzione che è il principio di solidarietà; gli artt. 2 e 24 Cost. possono creare le condizioni perché le Camere Penali facciano una seria battaglia nei confronti non dei magistrati, ma per i diritti degli imputati innocenti, per ottenere la rifusione delle spese e dei danni da attività giudiziaria lecita, perché se il colpevole viene tutelato, l’innocente mi pare venga meno tutelato. Grazie.

(Applauso).