12/08/2016
La ragionevole durata della presunzione di innocenza.

Il clamoroso ritardo nel quale versa la Corte di Assise di Appello della Sezione distaccata di Taranto la quale, a distanza di un oltre un anno dalla decisione non ha ancora provveduto a depositare le motivazioni della sentenza per l’omicidio della povera Sarah Scazzi dimostra, ancora un volta, che i ritardi ed i tempi irragionevoli dei processi non dipendono certo dalle troppe garanzie - che in verità, quando si tratta della libertà e della vita di una persona, non sono mai troppe - ma dalla stessa organizzazione degli uffici e dalla efficienza della giurisdizione.

Il processo per l’omicidio di Sarah Scazzi ha occupato, a torto o a ragione, le cronache giudiziarie del nostro paese per molti anni. Come tutti i processi indiziari ha evidenziato numerosi aspetti controversi e fatto sorgere molti dubbi. La Cassazione ha più volte annullato i provvedimenti emessi in sede cautelare e la sentenza di condanna ha fatto ovviamente discutere. Fin qui nulla di veramente patologico. Non entriamo ovviamente nel merito. Ma ciò che ora stupisce è il clamoroso ritardo nel quale versa la Corte di Assise di Appello della Sezione distaccata di Taranto la quale, a distanza di un oltre un anno dalla decisione con la quale ha ritenuto di dover confermare la condanna all’ergastolo delle due imputate principali, non ha ancora provveduto a depositare le motivazioni della sentenza. Il termine massimo di perenzione della custodia cautelare è prossimo a scadere e la questione relativa al computo dei relativi periodi di proroga sarà presto saggiamente risolto dal Giudice competente. Ma, ancora una volta, sembra opportuno uscire dai luoghi comuni e dalle logiche scandalistiche fuorvianti e soffermarsi, invece, su alcuni dati che spesso vengono trascurati. Che l’imputato attenda libero l’esito del suo processo dovrebbe essere normale, risultando chiaro dalle norme in materia la eccezionalità della custodia cautelare in carcere. Che a distanza di sei anni dall’inizio della carcerazione, in assenza di una decisione definitiva, le imputate tornino il libertà dovrebbe essere considerato un fatto del tutto normale, frutto della applicazione di una incontestabile garanzia costituzionale. Il ritardo dei giudici sarà poi valutato nelle sedi competenti, ma a noi interessa invece sottolineare ancora una volta ciò che episodi come questo dimostrano in maniera evidente. Che i ritardi ed i tempi irragionevoli dei processi non dipendono certo dalle troppe garanzie - che in verità, quando si tratta della libertà e della vita di una persona, non sono mai troppe - ma dalla stessa organizzazione degli uffici e dalla efficienza della giurisdizione. Ma ancora al di là di questo c’è da porsi un ultimo e più importante interrogativo. Il termine di novanta giorni previsto per la redazione delle sentenze più complesse appare più che congruo, ma è del tutto sprovvisto di sanzione, ed appare davvero ingiusto che il suo mancato rispetto possa ritorcersi contro un imputato detenuto in attesa di giudizio. Possibile che, per quanto si sia rivelato complesso il processo, un anno intero (con le ripetute proroghe) non sia bastato a motivare la decisione? E lo stato detentivo delle imputate non doveva essere una ragione  sufficiente per obbligare l’estensore al rispetto dei termini comunque imposti dalla legge e per consentire ai difensori, ancora una volta in tempi ragionevoli, di adire il giudice di legittimità? Noi riteniamo che la presunzione di innocenza sia un valore tanto importante che nessun giudice dovrebbe mai dimenticarsene anche quando si accinge a scrivere le motivazioni di una sentenza con la quale ha confermato un ergastolo.

Roma, 12 agosto 2016

 

Il Presidente

dell'Unione delle Camere Penali Italiane

Avv. Beniamino Migliucci

Il Segretario 

dell'Unione delle Camere Penali

Avv. Francesco Petrelli

 

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