07/02/2017
La nemesi del giustizialismo non appaga chi crede allo stato di diritto.

Da sempre il movimento politico cui fa riferimento il sindaco di Roma ha fatto di quello che, un po’ rozzamente, viene definito giustizialismo, un cavallo di battaglia.  C’è stata  –e non solo in questo caso- una sorta di cronaca in diretta di un’inchiesta giudiziaria in corso e, come sempre, gli sviluppi perversi del circo mediatico giudiziario sono indifferenti e (apparentemente) casuali, a seconda dei momenti e delle contingenze. Per chi ha a cuore una società fondata sui principi dello stato di diritto, tuttavia, la situazione descritta non genera nessuna soddisfazione, ma anzi ulteriore preoccupazione. E le liste di proscrizione di singoli giornalisti da parte dei novelli Robespierre, oltre ad essere inaccettabili e proprie di concezioni autoritarie, e a dimostrare totale incomprensione del problema, non contribuiscono in nessun modo ad una riflessione adeguata sul fenomeno mediatico-giudiziario.

Da sempre il movimento politico cui fa riferimento il sindaco di Roma ha fatto di quello che, un po’ rozzamente, viene definito giustizialismo, un cavallo di battaglia. Osanna della magistratura “a prescindere”; condanne preventive irrogate sommariamente ed in modo esemplare; giudizi irrevocabili affidati alla stampa e a mezzo web. Ebbene, l’Osservatorio sull’informazione giudiziaria dell’Unione delle camere penali italiane era stato fin troppo facile profeta, nei mesi scorsi, nel rammentare come la storia fosse destinata a ripetersi. Già nei primi anni novanta i penalisti italiani erano stati costretti a difendere garanzie processuali e diritti civili degli esponenti di quella classe politica che quelle stesse garanzie e diritti avevano calpestato (si ricordi la nemesi delle indagini a carico dei ministri Scotti e Martelli, protagonisti della ingloriosa pagina degli arresti a mezzo decreto legge con l’emanazione del cosiddetto decreto “Scotti-Martelli”). Nulla di nuovo sotto il sole, dunque: quando le inchieste toccano i propri interessi è fin troppo facile accantonare quel che si invoca contro gli altri, tanto più se le inchieste giudiziarie seguono i canoni tradizionali del processo mediatico parallelo, fatto di “indiscrezioni”, “anticipazioni”, fughe di notizie e di tutto il tradizionale armamentario del circo mediatico giudiziario descritto ormai molti anni fa dall’avvocato francese Soulez Larivìere. Inutile sottolineare che questi fenomeni non pesano nel giudizio di chi, da sempre, ritiene che il rispetto delle regole del gioco -ivi compresa tra queste la presunzione di innocenza, che dovrebbe essere rispettata anche dai mezzi di informazione- sia più importante del “gioco” stesso. Anche nei confronti di chi, delle regole del “gioco” processuale e comunicativo, abbia fatto strame. A questo punto è fin troppo scontato chiamare in causa la “società giudiziaria” giustamente evocata da Luciano Violante. I fatti parlano da sé: il Sindaco di Roma viene iscritto nel registro degli indagati. Vengono fatte trapelare notizie, sulla stampa, di un invito a rendere interrogatorio. Poi iniziano a leggersi articoli che riportano “voci di tribunale” su una imminente richiesta di misura cautelare (coercitiva o interdittiva). Il Sindaco di Roma si presenta e rende interrogatorio: le notizie di stampa sembrano aver sortito uno strano effetto deterrente sul sacrosanto diritto di avvalersi della facoltà di non rispondere prima di aver letto gli atti. Poi, in contemporanea con lo svolgimento dell’interrogatorio, iniziano a comparire brani giornalistici o notizie on line su quanto sta o starebbe accadendo nel corso dello stesso – domande, contestazioni, risposte, etc. – nella totale inconsapevolezza della fuga di notizie, vere o presunte, da parte degli inquirenti, che certamente non erano collegati in rete nel corso dell’incombente istruttorio. Resta il fatto che, a quanto pare, gli stessi investigatori non reagiscono alla valanga di indiscrezioni e anticipazioni, alla pubblicazione “in esclusiva” di “sms”, agli scoop dei TG serali secondo cui il sindaco “sarebbe” iscritto nel registro degli indagati per ulteriori episodi. C’è stata dunque, e c’è ancora –e non solo in questo caso- una sorta di cronaca in diretta di un’inchiesta giudiziaria in corso e, come sempre, gli sviluppi perversi del circo mediatico giudiziario sono indifferenti e (apparentemente) casuali, a seconda dei momenti e delle contingenze. Per chi ha a cuore una società fondata sui principi dello stato di diritto, tuttavia, la situazione descritta non genera nessuna soddisfazione, ma anzi ulteriore preoccupazione. E le liste di proscrizione di singoli giornalisti da parte dei novelli Robespierre, oltre ad essere inaccettabili e proprie di concezioni autoritarie, e a dimostrare totale incomprensione del problema, non contribuiscono in nessun modo ad una riflessione adeguata sul fenomeno mediatico-giudiziario. Resta l’amara considerazione per la quale, ancora una volta, la “giustizia” sembra consegnata alle sconsiderate pressioni mediatiche, agli impulsi colpevolisti “in anticipo” della cosiddetta società civile, all’asse informativo convergente dei circuiti della comunicazione e della investigazione.

Roma, 8 febbraio 2017 

L’Osservatorio sull’Informazione Giudiziaria dell’Unione delle Camere Penali italiane

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