24/03/2017
Le perplessità dell'Unione sul Decreto Legge n. 13 del 17 febbraio 2017

Il Decreto Legge n. 13 del 17 febbraio 2017 (G.U. n. 40 del 17 febbraio 2017) recante “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale”, in vigore dal 18 febbraio ed attualmente all’esame della Commissione Giustizia del Senato, suscita significative perplessità, e solleva molteplici dubbi circa i contenuti del provvedimento normativo che, poco coerente con le sollecitazioni di matrice europea volte a garantire un’adeguata protezione dei richiedenti asilo, delinea invece un percorso giurisdizionale sommario e poco garantista se raffrontato all’importanza di diritti garantiti dalla nostra Carta fondamentale e dalle disposizioni convenzionali.

Il Decreto Legge n. 13 del 17 febbraio 2017 (G.U. n. 40 del 17 febbraio 2017) recante “Disposizioni urgenti per l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell’immigrazione illegale”, in vigore dal 18 febbraio ed attualmente all’esame della Commissione Giustizia del Senato, suscita significative perplessità.

Al di là dei dubbi circa la sussistenza dei requisiti di straordinarietà, necessità ed urgenza che la Carta costituzionale, ai sensi degli artt. 77 e 72 Cost., prescrive per l’emanazione della legislazione di urgenza[1], l’attenzione viene rivolta ad alcune scelte operate dal Governo che compromettono alcuni diritti fondamentali dell’individuo sotto il vessillo, ormai logoro, delle esigenze di economia processuale.

Un primo esempio dell’indirizzo dell’esecutivo (che, attraverso la decretazione d’urgenza, comprime comunque il successivo vaglio parlamentare) è costituito dalla creazione di un sistema procedimentale che si conclude con una decisione assunta in base agli atti e ai documenti scritti prodotti dalle parti, eliminando in radice la possibilità di contraddittorio orale.

L’utilizzo della videoregistrazione per l’audizione del richiedente asilo – senza dubbio dotata di potenzialità distorsiva rispetto alla genuinità del colloquio -, in sostituzione, salvo talune limitate deroghe, dell’audizione diretta da parte dell’organo giudicante, oltre a non sembrare in linea con gli indirizzi del legislatore europeo, orientato, al contrario, a consolidare i diritti dei richiedenti protezione internazionale[2], si pone in contrasto anche con i principi propri del giusto processo, e consolida quella linea di tendenza del legislatore, fortemente avversata dall’UCPI, a creare una distanza fra la giustizia ed i destinatari di essa in nome di un efficientismo di facciata.

La riduzione delle garanzie processuali è ancor più evidente se si pensa alla mancata previsione di un controllo di merito in appello sulla decisione (ricorribile solo in Cassazione) adottata dal primo Giudice, che appare una scelta irrazionale laddove siano in gioco diritti fondamentali della persona, come nel caso del diritto alla protezione internazionale, se raffrontato con le maggiori garanzie che l’ordinamento riserva alla maggioranza delle controversie civili, anche di modesto valore patrimoniale o extrapatrimoniale[3].

Si aggiunga, altresì, che in tali procedimenti, volti a dare esito ad una richiesta di protezione internazionale ed ove fondamentale appare l’accertamento del fatto, è la stessa direttiva 2013/32/UE del 26 giugno 2016 a porre, a carico dell’organo giudicante investito della valutazione, un onere di collaborazione nella ricerca dei riscontri su quanto dichiarato dal ricorrente, anche in ragione della ‘debolezza’ della parte stessa.

A tali considerazioni si deve aggiungere l’ulteriore ostacolo alla possibilità di accesso alla giurisdizione reso difficoltoso dalla attribuzione della competenza esclusiva sulla materia di immigrazione, protezione internazionale e libera circolazione dei cittadini dell’Unione europea a poche sezioni specializzate ubicate sull’intero territorio nazionale, che determinerà la lontananza anche fisica del richiedente e del suo difensore rispetto all’ufficio giudiziario rendendo più gravosa l’attività difensiva.

Le criticità anzidette sollevano molteplici dubbi circa i contenuti del provvedimento normativo che, poco coerente con le sollecitazioni di matrice europea volte a garantire un’adeguata protezione dei richiedenti asilo, delineano invece un percorso giurisdizionale sommario e poco garantista se raffrontato all’importanza di diritti garantiti dalla nostra Carta fondamentale e dalle disposizioni convenzionali.

Roma, 24 marzo 2017

La Giunta

[1] Difetta in particolare il requisito della urgenza in quanto, non trattandosi di disposizioni di immediata applicazione bensì di interventi volti a ridisegnare la tutela giurisdizionale in materia, l’entrata in vigore di molte disposizioni previste dal decreto legge n. 13/2017 è rimandata essa stessa a 90 o 180 giorni dall’entrata in vigore del medesimo atto normativo.

[2] Il diritto dell’Unione europea (art. 46 Direttiva 2013/32/UE) valorizza la valutazione piena e diretta del giudice ex nunc di tutte le fonti di prova: a tal riguardo, appare essenziale l’ascolto diretto e personale del richiedente, essendo spesso le dichiarazioni rese dallo stesso gli unici elementi su cui si basa la domanda.

[3] In questo senso si sono espresse autorevoli associazioni quali ASGI, ANM, MD nonché il Primo Presidente della Corte di Cassazione.

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