01/08/2017
A chi piace questa giustizia?

La storia degli ultimi anni ha insegnato che la scorretta interpretazione dell’articolo 103 del codice di procedura penale, che presidia la riservatezza dei colloqui tra assistito e difensore, ha spesso consentito illegittime incursioni nel rapporto tra avvocato e assistito, pregiudicando lo spazio di libertà e la sacralità della funzione difensiva. Quando ad essere compressa è la sfera delle tutele processuali, non vengono infatti intaccate solo le garanzie di una singola categoria, ma vengono messi a repentaglio i presupposti stessi della nostra civiltà giuridica ed i principi democratico-liberali che regolano i rapporti fra le libertà del singolo e l’autorità dello stato. Così che c’è da chiedersi tutti: “a chi piace questa giustizia?”

Da quando il Governo ha deciso di porre la fiducia sul DDL penale, impedendo che si sviluppasse il necessario dibattito su di una riforma della giustizia che interessa tutti i cittadini e su norme di primaria importanza per i diritti degli imputati, abbiamo avuto conferma che ancora una volta il tema della giustizia era tornato ad essere ostaggio della politica,  ed abbiamo compreso come l’asprezza della contesa avesse imposto una ulteriore degenerazione. In materia di riforme del sistema penale non si era infatti mai registrato nulla del genere. Non si era mai assistito ad una chiusura dell’orizzonte della discussione che coinvolgesse entrambi i rami del parlamento, blindando una legge che davvero modificava in più parti il volto del processo penale. Ma neppure è possibile fermarsi a constatare i tratti negativi della novità. Nella legge ci sono ben otto deleghe, il che significa che a fronte di un dibattito mancato alla Camera, dopo le modifiche del Senato, sarà lo stesso Governo a riempire di contenuti i decreti, senza che vi sia stato il necessario contributo del Parlamento. Il dato non è solo di natura formale perché i contenuti delle deleghe sono notoriamente rilevanti in quanto vanno ad incidere su gangli nodali del processo e delle garanzie. Tra le otto deleghe vi è, ad esempio, quella sulle intercettazioni che si occupa tra l’altro anche delle comunicazioni tra difensore e assistito. Un tema nevralgico con implicazioni rilevantissime che incide sulla tenuta di diritti costituzionali inviolabili. In merito, grazie all’interlocuzione con il ministero (e all’epoca in particolare con l’allora vice-Ministro Costa) l’Unione, attraverso la proposizione di un proprio emendamento, ha fatto si che, nell’ambito della delega, il punto relativo alla regolamentazione dei colloqui tra assistito e difensore venisse trattato in modo specifico, e non rientrasse genericamente, come previsto in origine, nei casi di persone “occasionalmente” coinvolte nelle captazioni. Una collocazione che evidentemente segnalava la scarsa attenzione e la modesta sensibilità del mondo della politica per il valore costituzionale della funzione difensiva e per il rilievo che essa pretende nell’intero contesto dei rapporti civili. La storia degli ultimi anni ha insegnato che la scorretta interpretazione dell’articolo 103 del codice di procedura penale, che presidia la riservatezza dei colloqui tra assistito e difensore, ha spesso consentito illegittime incursioni nel rapporto tra avvocato e assistito, pregiudicando lo spazio di libertà e la sacralità della funzione difensiva. Nessuno si è strappato le vesti e neppure si è in verità preoccupato per le continue violazioni del pur male interpretato articolo 103, salvo accorgersi del problema quando la questione riguardava qualche esponente politico di rilievo di questo o di quello schieramento, pronto ad insorgere non per una consapevole adesione ai principi costituzionali di uno stato liberale, ma solo per essere stati vittime, essi stessi, di una invasione ritenuta illegittima della propria sfera personale di inviolabili diritti. Nel 2008  l’Unione pubblicò un primo studio relativo ai casi più eclatanti di violazione dell’art. 103 che erano stati oggetto di segnalazione. Da allora è stato un susseguirsi di violazioni, culminate con il caso CONSIP, e con le ulteriori recenti interferenze verificatesi nel sacro e inviolabile rapporto tra difensore e assistito. Nella gran parte dei casi l’intervento invasivo della magistratura tende ad assumere anche un valore paternalistico-pedagogico, perché si vorrebbe insegnare agli avvocati come dovrebbero comportarsi con i propri assistiti, e questo anche nel caso in cui i difensori abbiano rispettato, non solo le norme del codice penale, ma anche le regole del codice deontologico.  Questa invasione di campo rivela evidentemente anche un’insofferenza di fondo nei confronti della funzione difensiva quando questa non venga esercitata così come il pubblico ministero (e talvolta il giudice) avrebbe “desiderato”. Di qui il ripetersi di assai improbabili accuse per infedele patrocinio, formulate sostituendosi alle decisioni di un difensore, non solo ritenuto professionalmente inidoneo, ma anche pronto, in una indebita visione che sovrappone il difensore dell’indagato al complice del reo, a violare la legge. La tensione politica, e l’attenzione mediatica, su un tema così rilevante, dovrebbero essere totali se si ha davvero a cuore il contenuto dei principi costituzionali e se si comprende come il legislatore non avesse affatto inteso, attraverso l’art. 103, attribuire all’avvocatura un’immunità o un privilegio di categoria, ma accordare alla “funzione difensiva” quel rilievo che, nell’interesse di tutti, la nostra carta fondamentale le assegna. Non solo è triste sapere che vengono indebitamente intercettati e perquisiti avvocati che hanno operato correttamente, ma è preoccupante osservare l’acquiescenza dei più ed il totale disinteresse dei media, quasi che l’argomento dovesse essere relegato alle questioni di minima importanza, al più incidenti sulle vicende di una specifica categoria professionale. Eppure dovrebbe essere chiaro a tutti – perché del tutto logico e giuridicamente condiviso – che nessuno dovrebbe mai poter conoscere il contenuto dei colloqui riservati che riguardano, non solo la vita e gli aspetti più intimi di una persona sotto indagine, ma anche quelle che sono le strategie difensive, volte alla legittima tutela dei diritti di libertà di ogni cittadino. Quando ad essere compressa è la sfera delle tutele processuali, non vengono infatti intaccate solo le garanzie di una singola categoria, ma vengono messi a repentaglio i presupposti stessi della nostra civiltà giuridica ed i principi democratico-liberali che regolano i rapporti fra le libertà del singolo e l’autorità dello stato. Così che c’è da chiedersi tutti: “a chi piace questa giustizia?”

Roma, 1° agosto 2017

La Giunta