01/12/2021
Accesso ai benefici penitenziari: le note depositate.

Pubblichiamo le note dell’Unione depositate dall’Osservatorio Carcere a seguito dell’audizione innanzi alla Commissione Giustizia della Camera dei Deputati, sulle proposte di legge recanti accesso ai benefici penitenziari per i condannati per reati c.d. ostativi, di cui all'articolo 4-bis della legge sull'ordinamento penitenziario.

 

Il diritto alla speranza è la misura della dignità del detenuto, anche quando condannato a vita.

Negare l’uno significa annullare l’altra.

 

 

Note al testo adottato come base recante “Modifiche alla legge 26 luglio 1975 n. 354 26 luglio 1975, n. 354, al decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n.203, e al codice penale, in materia di divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia"

 

Premessa

Il testo base adottato come soluzione unificata alle precedenti proposte di legge già oggetto di note in audizione del 29 settembre 2021 risulta un compromesso per molti versi peggiorativo anche rispetto all’attuale disposizione normativa su cui la Cedu e la Corte costituzionale hanno sollecitato un intervento legislativo di profonda riforma.

Criitcità

Ancora una volta si prescinde dalle indicazioni della Corte costituzionale senza, perciò, procedere ad una razionale disciplina di tutto il catalogo dei reati previsti dall’art. 4 bis, con la conseguenza che le “nuove restrizioni” si applicano anche per reati monosoggettivi o comunque estranei al contesto mafioso.

 

  • L’ARTICOLO 1 LETTERA A) DEL TESTO BASE SOSTITUISCE INTEGRALMENTE L’ATTUALE COMMA 1 BIS DELL’ART. 4 BIS O.P. IN CONTRASTO CON DUE SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE (357/1994 E 68/1995) SULLA COLLABORAZIONE IMPOSSIBILE E/O INESIGIBILE.

 

La Corte costituzionale, con le sentenze 27 luglio 1994 n. 357 e 1 marzo 1995 n. 68, aveva dichiarato l’illegittimità dell’art. 4 bis o.p. nella parte in cui non si disciplinavano le ipotesi di mancanza di collaborazione da attribuire a ragioni non dipendenti dalla volontà del condannato.

Come già stabilito per la collaborazione irrilevante, anche per la collaborazione c.d. inesigibile per la limitata partecipazione del condannato al reato commesso (Sent 357/1994), nonché per i casi di collaborazione impossibile, stante l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità avvenuto con sentenza definitiva (Sent. 68/1995), doveva essere consentito al condannato di poter accedere ai benefici previa acquisizione di elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva.

Il vuoto normativo dichiarato costituzionalmente illegittimo viene superato con la legge 279/2002 che recepiva, appunto, le indicazioni delle due sentenze della Corte costituzionale sopra ricordate con l’inserimento dell’attuale comma 1 bis dell’art. 4 bis OP.

L’attuale proposta, cancellando con un colpo di spugna le modifiche legislative del 2002, reintroduce i vuoti normativi già dichiarati illegittimi dalla Consulta con gravi ripercussioni anche in termini di concreta applicabilità della norma, per certo, peggiorativa rispetto all’attuale.

 

  • IL NUOVO COMMA 1 BIS DISCIPLINA I REQUISITI E I PRESUPPOSTI PER I SOLI CONDANNATI A PENE PERPETUE (ERGASTOLANI) SENZA DISCIPLINARE I CASI DEI CONDANNATI A PENE TEMPORANEE.

NELL’ULTIMO PERIODO SI ESTENDE LA DISCIPLINA PARTICOLAREGGIATA PER GLI ERGASTOLANI AI CONDANNATI A PENE TEMPORANEE SOLO PER I PERMESSI PREMIO.

Nel testo base adottato è disciplinato il percorso per la concessione di eventuali benefici, per quanto nei fatti impraticabile, per gli ergastolani ostativi non collaboranti, mentre per tutti gli altri condannati a pene detentive temporanee si trova l’estensione della citata disciplina per la sola misura del permesso-premio come unico beneficio accessibile senza collaborazione.

 

  • REQUISITI, ONERE PROBATORIO PER ACCEDERE AI BENEFICI.

La disposizione relativa ai requisiti e agli elementi da considerare ai fini della concessione dei benefici appare irrazionale laddove pretende una generalizzata dissociazione, necessaria, ma non sufficiente, anche se assurda e inapplicabile per chi, ad esempio, si sia professato e continui a professarsi innocente nonostante la condanna, o ingiustificabile per tutti i condannati che si trovano in espiazione per un reato monosoggettivo, del tutto sganciato da contesti associativi di criminalità organizzata.

Ulteriore criticità emerge dalla pretesa, con onere a carico del condannato, con grado di “certezza” di una inammissibile e impossibile “prova negativa” sui collegamenti con l’associazione criminosa.

Il requisito della “certezza” per l’esclusione di attuali collegamenti con la criminalità organizzata è un requisito privo di alcuna giustificazione razionale.

 

  • ALL’ARTICOLO 1 LETTERA C, ALLA FINE DEL PRIMO PERIODO “…e dispone i controlli previsti dall’art. 88 del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002 n. 115”.

 

L’inserimento generalizzato di controlli delegati alla GDF ai sensi del DPR 115/2002 per tutti i casi rischia di comportare un inutile aggravio istruttorio che impedisce il rispetto dei tempi per l’istruttoria predeterminati.

 

  • ALL’ARTICOLO 1 NUMERO 3 E ALL’ARTICOLO 3 DELLA PROPOSTA:

Le modifiche delle soglie di accesso ai benefici e misure alternative (58 quater OP) (art. 2 e 3 della proposta), per il condannato all’ergastolo appaiono in contrasto con quanto deciso da Corte costituzionale con la sentenza 149/2018: “L’appiattimento ad un’unica e indifferenziata soglia […] per l’accesso a tutti i benefici penitenziari indicati nel primo comma dell’art. 4 bis ord. penit. si pone […]  in contrasto con il principio – sotteso all’intera disciplina dell’ordinamento penitenziario in attuazione del canone costituzionale della finalità rieducativa della pena – della “progressività trattamentale e flessibilità della pena” (sentenza n. 255 del 2006; in senso conforme, sentenze n. 257 del 2006, n. 445 del 1997 e n. 504 del 1995), ossia del graduale reinserimento del condannato all’ergastolo nel contesto sociale durante l’intero arco dell’esecuzione della pena”.

Analoga perplessità suscita il generalizzato e uniforme criterio di valutazione per la concessione di tutti i benefici penitenziari, in contrasto, anch’esso,  le decisioni della Consulta, fra tutte la sentenza 149/2018, che ha evidenziato la rilevanza del principio della “progressività trattamentale e flessibilità della pena” e del graduale reinserimento del condannato nel contesto sociale durante l’intero arco dell’esecuzione penale.

 

CONCLUSIONI

Numerose sentenze della CEDU richiamate dalla Corte costituzionale stabiliscono che la pena detentiva perpetua è compatibile con il divieto convenzionale di trattamenti inumani (art. 3 CEDU) solo in quanto la pena sia riducibile de iure et de facto.

La proposta in questione rappresenta la codificazione di una pena perpetua non riducibile in concreto.

C’è bisogno, piuttosto, di una disciplina complessiva in grado di rendere davvero compatibile con la Costituzione e secondo il monito sovranazionale della Cedu e della stessa Corte costituzionale, non solo la disciplina dell’ergastolo, bensì l’intero assetto normativo sulle ostatività anche attraverso una razionale riorganizzazione del catalogo di reati previsti dalla specifica disciplina.

Solo attraverso una coraggiosa presa di coscienza possiamo rispondere in maniera corretta alle sollecitazioni delle Corti, diversamente sarà la stessa Corte costituzionale, nel maggio 2022, a rendere concreta ed effettiva la pronuncia di incompatibilità costituzionale dell’art. 4 bis ad oggi sospesa.

Roma, lì 27/11/2021                                   L’Osservatorio Carcere UCPI

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