Occorre un nuovo codice deontologico comune, in grado di eliminare le distorsioni del processo mediatico, occorrono norme che rendano effettive le sanzioni da adottare nei confronti di chi svela il segreto istruttorio. Il documento dell’osservatorio sull’informazione giudiziaria
In mezzo al fuoco delle polemiche sulle novità normative in tema di presunzione di innocenza ed in particolare sul divieto di pubblicazione anche per stralcio del testo delle ordinanze cautelari, da alcuni definite “bavaglio” della stampa, si inseriscono proprio in questi giorni tutte in una volta, un paio di vicende che meritano più di una riflessione.
La prima riguarda due comunicati stampa della Procura di Parma in risposta alle critiche rivolte dal mondo della informazione poiché non si sarebbe saputo nulla, dal 9 agosto scorso a metà settembre, della ragazza di 22 anni accusata di aver ucciso e seppellito il corpo del bimbo appena partorito.
Il primo comunicato descrive in premessa le ragioni del pregiudizio del processo mediatico ai diritti della persona assistita dalla presunzione di innocenza, tanto che stavamo quasi gridando al miracolo, salvo immaginare (e indovinare) che la stampa avrebbe ignorato qualsiasi confronto sulla necessità di un bilanciamento fra diritto di informazione dei cittadini e tutela della presunzione di innocenza.
Il giorno dopo, una volta giustificato il silenzio sulle indagini, in realtà serbato unicamente per esigenze investigative, la seconda nota del Procuratore, ha presentato all’opinione pubblica una ricostruzione dei risultati delle indagini talmente categorica e dettagliata, da farla diventare una anticipata sentenza di condanna e non certo un’ipotesi di accusa destinata ad essere portata al vaglio di un processo dibattimentale davanti ad un giudice terzo e imparziale!
Insomma, col vestito delle garanzie e dietro il falso omaggio alla presunzione di innocenza si è soltanto voluto salvaguardare un riserbo investigativo e non certo i diritti dell’indagata ad un giusto processo da svolgere in aula.
Sintetizzando quanto accaduto con un proverbio: chi aveva le chiavi ha chiuso la stalla quando ormai i buoi erano fuggiti.
Ovvero, in altre parole, abbiamo assistito ad un’elusione del nuovo divieto di pubblicazione dell’ordinanza cautelare, avvenuta attraverso l’ostensione dei risultati dell’intera attività investigativa.
Altro che presunzione di innocenza; ancora una volta è stato tradito il senso della giustizia sancita nell’art.111 della Costituzione.
La verità si afferma nel processo davanti al giudice con il pieno esercizio del diritto di difesa, non nella fase delle indagini dove il Pubblico ministero, che rappresenta l’accusa, è in grado di raccogliere solo una verità parziale, cioè di parte, senza il necessario apporto del contraddittorio con chi ha o può avere un’alternativa versione dei fatti, chi cioè viene accusato di averli commessi e che potrebbe dimostrare qualcosa di diverso.
Il fatto che, sotto le mentite spoglie della presunzione di innocenza, il Procuratore di Parma abbia finito per riversare ai giornalisti l’intero compendio delle indagini in una fase protetta dal segreto investigativo, dimostra ancora di più la sproporzionata influenza che l’opinione pubblica esercita sulla magistratura nel nostro paese, senza paragoni in nessun’altra nazione in Europa.
Ma vi è di più.
La recente vicenda di cronaca che ha visto il coinvolgimento di un uomo di 50 anni nella morte di sua madre ottantenne, soffocata nella propria abitazione, riguarda questioni cruciali sull’intersezione tra informazione giudiziaria, responsabilità dei media e rispetto del diritto al giusto processo e rappresenta un caso forse unico di spettacolarizzazione della giustizia e dell’indagine penale.
L’uomo, visibilmente provato e in stato di shock, è stato intervistato davanti alle telecamere, ammettendo il delitto in un contesto emotivamente alterato, ovviamente senza la protezione o l’assistenza di un avvocato.
E il filmato integrale di tale confessione stragiudiziale è stato trasmesso in diretta televisiva nel programma “Pomeriggio Cinque”.
Si è trattato senz’altro di una interferenza mediatica potenzialmente in grado di pregiudicare le indagini e complicare l’iter processuale e probatorio sotto tutti i punti di vista, senza contare l’annullamento gioco forza di ogni invalicabile diritto di difesa.
Tuttavia, era nel diritto dei giornalisti svolgere questa intervista, pubblicarla e dare corpo ad uno scoop tanto inedito, quanto discutibile, al cospetto di principi in gioco di valore pari a quello dell’informazione:
La tutela della dignità della persona ed ancora una volta, la presunzione di innocenza.
Certo si poteva, ma non è stato ritenuto opportuno.
Alla luce di quanto accaduto, emerge quindi con forza la necessità di riflettere sui limiti entro cui i media e gli stessi operatori di settore, possono operare nell’ambito dell’informazione giudiziaria, posto che queste prime barriere legislative, lungi dal costituire un bavaglio per la stampa, non sono sufficienti (lo avevamo detto) a garantire il diritto del cittadino ad un giusto processo.
Non lo è la legge sulla presunzione di innocenza, non lo è nemmeno il divieto di pubblicazione delle ordinanze di misure cautelari.
Occorre un nuovo codice deontologico comune, in grado di eliminare le distorsioni del processo mediatico, occorrono norme che rendano effettive le sanzioni da adottare nei confronti di chi svela, senza che vi siano importanti ragioni di ordine pubblico, il segreto istruttorio.
Altrimenti si troverà il modo di anticipare il testo dell’ordinanza di custodia cautelare attraverso i comunicati stampa e sarà possibile fare comunque i processi in piazza, in anteprima, con buona pace del codice di procedura penale e della presunzione di innocenza, in nome dello spettacolo.
Roma, 25 settembre 2024
L’Osservatorio Informazione Giudiziaria, Media e Processo Penale