29/10/2024
Non perdiamo l'equilibrio

Occorre ripristinare un sistema processuale integralmente ispirato ai principi costituzionali della presunzione di non colpevolezza e del giusto processo, preservando la giurisdizione dall’influenza di aspettative securitarie e derive demagogiche, insanabilmente incompatibili con lo stato di diritto. Il documento della Giunta e dell'Osservatorio Doppio Binario.

Le irrituali contestazioni rivolte a due provvedimenti di scarcerazione per decorrenza dei termini emessi da una Sezione della Corte di Appello di Palermo ha ancora una volta disvelato, per quanti necessitassero di ulteriori conferme, una profonda insofferenza di talune istanze politiche rispetto a due principi cardine del nostro ordine costituzionale: la separazione dei poteri e la positivizzazione del diritto.

A fronte di fisiologiche ordinanze di scarcerazione per superamento dei termini massimi di custodia cautelare -istituto eccezionale rispetto alla regola che prevede che l’imputato, il presunto innocente, debba rispondere da libero nel processo- per il reato di cui all’art. 416 bis c.p., emesse dalla Corte di Appello di Palermo il 14 e 22 ottobre scorsi, la politica (da destra a sinistra) ha reagito gridando allo scandalo, etichettando la decisione come “burocratica” e finendo con il demonizzare principi di civiltà giuridica: “cavilli tecnico giuridici, vuoti normativi, tecnicismi giuridici, falle del sistema giudiziario, cavilli legali”. Inneggiando, in conclusione, ad una imminente (ed ennesima, sic!) riforma del sistema giudiziario.

Una ricostruzione che attribuirebbe addirittura al Difensore il ruolo di colui che mette alle strette il Magistrato di turno con le proprie istanze, e non un veicolo per l’attuazione del giusto processo.

Giusto perché conforme al dato normativo.

Giusto perché quelli definiti dispregiativamente come “i cavilli”, sono i pilastri su cui si fonda il sistema che mira a preservare le libertà fondamentali dall'arbitrio dello Stato.

Invero, chi è capace di cogliere il significato reale di determinati slogan comprende anzitutto che a muovere propagande quali la necessità di una più celere conclusione dei processi contro i mafiosi ci sia un’idea di fondo ben chiara: la concezione finalistica ed afflittiva del processo penale in sé; di un processo penale che avanzi per presunzioni; di un processo perfettamente precostituito in fase di indagini preliminari che dovrebbero -e agli occhi di molti evidentemente lo sono- essere già di per sé sufficienti al punto tale da ritenere certamente colpevoli i destinatari di misura cautelare custodiale -e non solo-  e di indignarsi quando anche a costoro vengono applicate quelle ormai minime e residuali regole di garanzia del giusto processo; di un processo altro.

Non solo, ma l’auspicio -della politica- a che le Istituzioni si facciano carico della responsabilità di correggere queste situazioni, unito all’esplicito rimprovero rivolto ai Giudici procedenti per il ritardo nel deposito delle motivazioni della sentenza di condanna ed alla paventata interrogazione del Ministro della Giustizia, dimostrano ancora una volta la patologica tendenza all’invasione di campo da parte del potere esecutivo nei confronti del potere giudiziario. Con grave pregiudizio per un pilastro della civiltà giuridica: l’autonomia della giurisdizione.

Il problema è l'inadeguatezza (una cosa è la critica tecnico giuridica del provvedimento, altro la delegittimazione pregiudiziale di chi lo ha emesso) di chi parla senza conoscere la grammatica delle istituzioni democratiche né delle regole applicate dal Giudice. E sposta l’attenzione dal vero problema che passa sotto assordante silenzio, come spesso accade per vicende processuali che assurgono ad interesse mediatico. L’altra faccia della medaglia di questa, simile a troppe altre, vicenda processuale: contestazioni aggravate, poi ritenute insussistenti in corso d’opera, ma che in fase preliminare permettono l’uso -o l’abuso- di strumenti processuali coercitivi che dovrebbero almeno avere una portata e una durata più limitati.

Perché la vera inadeguatezza, sulla quale l’operazione convenzionalmente denominata “Delirio” ci offre la possibilità di riflettere, risiede nelle regole che consentono che un presunto innocente subisca carcerazione preventiva per la durata complessiva, inconcepibile e smisurata, fino a 6 o addirittura 9 anni, mortificando così i diritti di libertà.

Occorrerebbe, pertanto, ripristinare un sistema processuale integralmente ispirato ai principi costituzionali della presunzione di non colpevolezza e del giusto processo, preservando la giurisdizione dall’influenza di aspettative securitarie e derive demagogiche, insanabilmente incompatibili con lo stato di diritto.

L’Unione continuerà a difendere l'autonomia della giurisdizione, così come ha ripetutamente denunciato un certo movimentismo politico di parte della magistratura, finalizzato ad invadere l'ambito di operatività degli altri poteri dello stato.

Roma, 29 ottobre 2024

La Giunta

L’Osservatorio doppio binario e giusto processo.

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