15/09/2015
Misure cautelari reali e responsabilità amministrativa degli enti

Il sequestro nei confronti dell’Ente finalizzato alla confisca per l’intero importo del profitto da reato deve considerare in detrazione quanto già ottenuto in sede di confisca per la quota riferibile ai reati corruttivi della persona fisica.

(Fattispecie in cui il Tribunale del Riesame ha annullato il decreto di sequestro preventivo per equivalente che aveva sommato il profitto dal reato per l’intero con il quantum già versato dalle persone fisiche con la definizione dei procedimenti a loro carico mediante applicazione pena)

 

Le ordinanze in commento afferiscono alle vicende di sequestri preventivi per equivalente disposti nei confronti di alcuni Enti in relazione a fattispecie di corruzione nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti del MOSE (Modulo Sperimentale Elettromeccanico), il progetto di ingegneria civile, ambientale ed idraulica finalizzato alla difesa di Venezia e della sua laguna attraverso la costruzione di schiere di paratoie mobili a scomparsa poste sul fondale marino in corrispondenza delle bocche di porto del Lido, di Malamocco e di Chioggia per isolare, in via temporanea, la laguna di Venezia dal mare Adriatico durante gli episodi di alta marea.

In particolare, consentono di far chiarezza su alcuni aspetti del D.L.vo 231/2001, recante la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, e, segnatamente, in ordine all’ammissibilità della richiesta di riesame interposta dal difensore di fiducia dell’Ente in assenza di previo e formale atto di costituzione ai sensi dell’art. 39 della citata normativa, nonché circa i presupposti per la solidarietà fra Enti ed i criteri di quantificazione del profitto da reato ai fini del sequestro preventivo.

Quanto alla prima questione, giova dar conto - come ha, peraltro, fatto il Tribunale di Venezia - che le Sezioni Unite della Suprema Corte con pronuncia di poco precedente il primo provvedimento in esame[1], hanno affermato il principio di diritto secondo cui è ammissibile la richiesta di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo che sia proposta dal difensore dell’Ente che non abbia formalizzato la propria costituzione nel procedimento ex art. 39 D.L.vo 231/2001 a condizione che quest’ultimo, al momento della presentazione dell’istanza, non abbia ancora ricevuto l’informazione di garanzia a norma del successivo art. 57.

Le Sezioni Unite, invero, sono intervenute a dirimere il contrasto fra le pronunce di legittimità che ritenevano che la scelta dell’Ente di non costituirsi nel procedimento nei modi e con le forme previste dall’art. 39 non pregiudicasse il diritto del medesimo di presentare, tramite il proprio difensore, richiesta di riesame[2], e quelle che ne condizionavano la legittimazione alla preventiva costituzione nel procedimento[3] aderendo a questa seconda soluzione la quale appare meglio rispondere alla lettera della prefata norma in virtù della quale l’Ente deve depositare la dichiarazione di costituzione “per partecipare al procedimento”, ivi compresa, quindi, la fase incidentale del riesame; un tanto, tuttavia, purchè sia stato previamente notiziato, attraverso la notifica dell’informazione di garanzia, della facoltà di costituirsi in giudizio che gli consentirà di porre in essere gli atti difensivi c.d. personalissimi, quali la richiesta di riti alternativi, la dichiarazione di ricusazione, la rinuncia alla prescrizione e la partecipazione all’udienza prevista per l’applicazione di misura cautelare di cui all’art. 47, co. 2, D.L.vo 231/2001[4].

Qualora, pertanto, come nel caso valutato dal Tribunale di Venezia, l’Ente non si sia costituito nel procedimento nonostante la previa notifica dell’informazione di garanzia, o si sia costituito successivamente rispetto all’interposizione della richiesta di riesame da parte del difensore di fiducia, questa dovrà essere dichiarata inammissibile per carenza di legittimazione rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado e non emendabile.

Con l’ordinanza di cui alla seconda massima il Collegio veneziano si è occupato dell’applicazione del concorso, e, quindi, della solidarietà, fra Enti coinvolti nel reato presupposto al fine di determinare il quantum del sequestro preventivo per equivalente.

Per l’ipotesi in cui si tratti di un unico illecito amministrativo plurisoggettivo, infatti, troverà applicazione il principio solidaristico dal quale consegue che venga imputata a ciascun concorrente l’intera azione e l’effetto conseguente, di tal che, col dissolvimento dell’individualità storica del profitto illecito, la confisca ed il sequestro preventivo ad essa finalizzato potranno attingere ciascuno dei concorrenti indifferentemente anche per l’intero ammontare del profitto accertato, fermo restando che non si potrà dar corso ad una duplicazione dell’effetto ablativo ovvero, in ogni caso, pervenire ad una quantificazione del profitto complessivo che esorbiti dalla sua effettiva consistenza[5].

Laddove, viceversa, ci si trovi al cospetto di più illeciti amministrativi dipendenti da reato autonomi fra loro che siano fonte di responsabilità dei diversi Enti coinvolti, le cose cambiano.

Ed, invero, dalla lettura congiunta degli artt. 2, 5 e 27 del D.L.vo 231/2001 relativi, rispettivamente, al principio di legalità, alla responsabilità dell’Ente ed alla responsabilità patrimoniale dell’Ente, non è consentito affermare la sussistenza del principio solidaristico derivante dalla responsabilità amministrativa dell’Ente con l’estenderne il contenuto mediante un’opzione ermeneutica vietata, quale l’analogia in malam partem, che verrebbe, di fatto, a comprendere le conseguenze di reati che non siano stati commessi nell’interesse o a vantaggio di quello specifico Ente ovvero da persone fisiche che non avessero occupato una posizione c.d. apicale, né da dipendenti soggetti alla direzione o vigilanza di chi, rispetto all’Ente, ricoprisse una posizione c.d. apicale.

Il Tribunale, pertanto, ritenuto come la fattispecie sottoposta alla sua attenzione ricadesse nell’ambito di quest’ultima casistica  e che, del pari, l’Ente ricorrente non potesse configurarsi come raggruppamento temporaneo di imprese inidoneo a rilevare come nuovo ed autonomo soggetto giuridico[6], è pervenuto alla conclusione, ineccepibile, di annullare in parte qua l’impugnato decreto di sequestro preventivo.

Un’ulteriore questione affrontata nel provvedimento annotato è data dalla valutazione, in sede di riesame, dell’effettiva equivalenza tra il valore dei beni sottoposti al vincolo cautelare e l’entità del profitto del reato[7].

Nella quantificazione del profitto da reato di corruzione il Giudice è, infatti, tenuto a considerare un ammontare non inferiore a quello del denaro o delle altre utilità  date o promesse al pubblico ufficiale sulla scorta della presunzione legale di cui all’art. 322 ter c.p.p., con detrazione degli importi versati dai soggetti qualificati come corruttori in sede di applicazione della pena su richiesta delle parti.

Nel caso di specie, il Tribunale ha censurato l’operato del GIP che aveva imposto la cautela reale imputando il quantum di una confisca oggetto di applicazione pena su richiesta delle parti per numerose e diverse fattispecie di reati, sia corruttivi, che fiscali, in relazione al profitto da reato quantificato per l’intero nei vari capi d’imputazione. Un tanto trova la sua ragione d’essere nella circostanza per cui, diversamente rispetto al rito ordinario, il profitto oggetto di confisca qui è il risultato di un accordo che deve rispondere ai criteri di proporzionalità ed adeguatezza e non può, per contro, fisiologicamente, corrispondere alla sommatoria dei singoli profitti da reato.

In assenza di puntuale quantificazione della somma confiscata per i vari reati contestati nelle decisioni che definiscono le istanze di applicazione pena, questa dovrà essere imputata in egual misura a ciascuna fattispecie, essendo precluso al Giudice della cautela sottrarre da essa i singoli importi derivanti dal profitto del reato per l’intero e per ciascun capo d’imputazione onde scongiurare il rischio che si ecceda il valore complessivo del profitto. Inoltre, nel calcolo non dovrà tenersi conto delle ipotesi di reato che costituiscano il presupposto della responsabilità amministrativa che siano prescritte per essere trascorso il termine di cinque anni dalla loro consumazione in assenza di atti interruttivi, in ossequio al disposto dell’art. 22 D.L.vo 231/2001.

Anche sotto questo, diverso, profilo, pertanto, il Tribunale, facendo buon governo dei principi che regolano la materia, ha annullato il provvedimento di sequestro preventivo sottoposto a gravame.

Avv. Federico Cappelletti

 

[1] Si veda, Cass. SS.UU., Sent. n. 33041/2015 (ud. 28/05/2015), in www.italgiure.giustizia.it.

[2] Si vedano Cass., Sez. VI, Sent. 05.11.2007, Quisqueyana S.p.a., in Mass. Uff., n. 238322; Cass., Sez. VI, Sent. 19.06.2009, Caporello, in Mass. Uff., n. 244407, citate dalle SS.UU.; una siffatta interpretazione troverebbe conforto nel combinato disposto degli artt. 34 e 35 del D.L.vo 231/2001 i quali prevedono che al procedimento di verifica giurisdizionale della responsabilità amministrativa degli Enti si applichino, in quanto compatibili, le disposizioni del codice di rito, con estensione all’Ente, delle norme che si riferiscono all’imputato, oltre nell’art. 52 in virtù del quale l’Ente, per mezzo del suo difensore, è legittimato a proporre appello contro tutti i provvedimenti in materia di misure cautelari, a prescindere, quindi dal fatto che abbia inteso partecipare al procedimento costituendosi con le modalità indicate dall’art. 39.

[3] Si vedano Cass., Sez. VI,  Sent. 05.02.2008, n. 15689, Soc. a r.l. A.R.I. International., in Mass. Uff., n. 241011; Cass., Sez. II, Sent. 09.12.2014, n. 52748, Vbi01, in Mass. Uff. n. 261967, citate dalle SS.UU..

[4] In questo senso, G. Ranaldi, Processo de societate e procedimento di riesame: il diritto alla difesa tecnica può prescindere dalla costituzione dell’ente collettivo nel procedimento purchè non abbia ricevuto l’informazione di garanzia ai sensi dell’art. 57 d.lgs. n. 231 del 2001, in Arch. Penale, n. 2/2015.

[5] Si veda, Cass. SS.UU., Sent. n. 26654/2008 (ud. 27.03.2008), in Cass. Pen., n. 12/2008, pag. 4544 e ss., con nota di L. Pistorelli.

[6] L’associazione temporanea di imprese (ATI), infatti, non costituisce un nuovo ed autonomo soggetto giuridico, ragion per cui ogni impresa partecipante mantiene la propria autonomia, pur essendo responsabile in solido nei confronti dell’appaltante. Diverso è il caso del consorzio con attività esterna - qual era l’Ente protagonista del procedimento incidentale di cui trattasi - poiché, pur privo di personalità giuridica in senso stretto, tuttavia, ai sensi dell’art. 2615 c.c., rileva come centro autonomo di imputazione sia di rapporti giuridici, che di responsabilità verso i terzi, essendo, peraltro, dotato di autonomia patrimoniale grazie al fondo consortile. La differenza tra le due situazioni è sostanziale dal momento che solo nella prima fattispecie può essere introdotto il principio dell' “interesse di gruppo” in base al quale il beneficiario finale di ogni attività corruttiva, indipendentemente dal fatto che sia stata posta in essere da persone fisiche con ruolo apicale o da dipendenti soggetti alla loro direzione o vigilanza o da altri Enti in associazione, sarebbe, in ogni caso, l’Ente. Così l’ordinanza in commento.

[7] Valutazione consentita al Tribunale nei casi di sproporzione ictu oculi e sulla base degli atti disponibili; si vedano al riguardo, Cass, Sez. II, Sent. n. 2488 del 27.11.14, Rv. 261853; Cass., Sez. VI,, Sent. n. 19051 del 10.01.2013, Rv. 255256; Cass., Sez. VI, Sent. n. 24277 del 08.04.2013, Rv. 255441, tutte citate in Cass., Sez. III, Sent. n. 5724 del 14.01.2016 in www.italgiure.giustizia.it. 

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