13/09/2023
IL DECRETO CAIVANO - 'Il passo del gambero…' del Governo Meloni!

Pubblichiamo il documento dell'osservatorio carcere UCPI in merito al recente decreto 'Caivano' del Governo.

Leggi qui il documento allegato

C’è stato un tempo in cui una scarsa sensibilità per i diritti dell’individuo, in generale, e per le esigenze specifiche dei soggetti di giovane età, in particolare, ha impedito l’istituzione di un sistema di giustizia penale differenziato. Ancora nel XIX secolo i fanciulli erano sottoposti al giudizio dei tribunali ordinari e subivano le stesse sanzioni degli adulti ed anche se irrogate con un certo contenimento le pene venivano scontate in promiscuità con gli adulti: l’esecuzione delle condanne in carcere non prevedeva differenziazioni. Solo nel 1899 è stata istituita a Chicago la Juvental court, primo organismo giurisdizionale specializzato, incaricato di giudicare solo i minorenni, secondo regole che tenessero conto delle esigenze specifiche degli stessi. L’evento è stato accolto come una conquista di civiltà giuridica e ha innescato un processo che ha rapidamente coinvolto anche il continente europeo.

L’attenzione per la specificità dell’amministrazione della giustizia nei confronti dei minori ha trovato riconoscimento anche a livello internazionale attraverso alcuni fondamentali documenti quali la risoluzione della Nazioni Unite concernente le “Regole minime per l’amministrazione della giustizia dei minori” (c.d. Regole di Pechino) e le raccomandazioni del Consiglio d’Europa su “Le reazioni sociali alla delinquenza minorile”. Tali documenti, insieme alle direttive costituzionali, hanno guidato il nostro legislatore nel processo di riforma finalizzato a disciplinare il processo a carico di imputati minorenni con le modificazioni ed integrazioni imposte dalle particolari condizioni psicologiche di costoro, dalla loro maturità e dalle esigenze della loro educazione. La legge delega 16 febbraio 1987 n. 81, con la quale il legislatore ha conferito mandato al Governo d’ intraprendere l’opera di riforma è incardinata sull’art. 31 c. 2 della Costituzione, che impone alla Repubblica di proteggere la gioventù, favorendo gli istituti necessari a tale scopo.

Non v’è chi non veda come, sino a ieri, la norma testimoniava di una centralità della finalità rieducativa della pena nei confronti del minore, a discapito delle esigenze di punizione e di difesa sociale, specificando ed arricchendo con contenuti di tutela, quanto già previsto dall’art. 27 c. 3 Cost.

La legge delega è stata attuata con il D.P.R. 22 settembre 1988, n. 448 recante << Disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni>> integrato dal D.P.R. 22 settembre 1988, n 449, relativo all’adeguamento dell’ordinamento giudiziario al nuovo processo penale e a quello minorile, e dal d.lgs. 28 luglio 1989, n. 272 per le norme di attuazione, di coordinamento e transitorie del c.p.p.m.

La finalità rieducativa che si afferma(va) nella disciplina relativa ai minori nel nostro ordinamento, lungi dall’essere veicolo per l’introduzione di pratiche deresponsabilizzanti, cercava di garantire quel difficile equilibrio tra esigenze di tutela e bisogni di un soggetto ancora in fieri che si perseguiva attraverso approfonditi accertamenti sulla personalità dello stesso durante lo svolgersi del procedimento. Si cristallizzava, se così si può dire, una contemporaneità del “processo sull’autore” e del “processo sul fatto” che, certamente, non è dato ritrovare (forse anche legittimamente) nel procedimento a carico degli adulti.

Possiamo dire, con una certa sicurezza che, sino ad oggi, la scelta del legislatore era stata chiaramente ispirata alla necessità di garantire che il rispetto delle regole processuali avvenga sempre nell’ottica della tutela della personalità del minore e, conseguentemente, la pretesa punitiva fosse subordinata all’interesse-dovere dello Stato al recupero  del minorenne senza che ciò, in ossequio a mal riposti principi di buonismo giudiziario,  dovesse concretizzarsi in rinuncia all’accertamento della responsabilità penale dello stesso nel rispetto della presunzione di innocenza.

A discapito dei fin qui menzionati e noti (ai più) principi fondamentali, oggetto di conquista nel corso degli anni, sui quali la tutela del minore si incentra, si afferma nello scenario attuale l’approvazione da parte del Governo di un decreto legge che introduce misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile.

L’intervento normativo, per quello che qui s’intende evidenziare, ha ad oggetto l’applicabilità delle misure cautelari ai minori di 18 anni ed è finalizzato a sanzionare ed a dissuadere, nelle aspettative del Governo, dal tenere comportamenti contrari alla legge, prevedendo altresì percorsi di rieducazione e di reinserimento del minore autore di condotte criminose. Con il decreto legge sono state introdotte norme di riqualificazione del territorio del comune di Caivano, comune nel quale si sono da poco consumati avvenimenti di natura criminosa i cui autori sono soggetti minorenni. Dunque, il progetto di modifica da parte del Governo che ha inasprito il trattamento nei confronti dei soggetti minorenni è essenzialmente scaturito dal forte allarmismo e dalla diffusione di reati violenti – come stupri, risse, percosse e lesioni, atti di bullismo e atti vandalici, che vedono protagoniste le gang giovanili di età compresa tra i 15 e i 18 anni.

In estrema sintesi le novità legislative comportano: carcere più facile per i minorenni, daspo dai 14 anni, arresto in flagranza per spaccio di lieve entità e per reati prima non previsti per soggetti di età compresa tra 14 e 18 anni. Non è previsto l’abbassamento della imputabilità da 14 a 12 anni (ancorché oggetto di specifica petizione del senatore Salvini), per i più giovani è prevista la convocazione con i genitori i quali rischiano anche due anni (pena aumentata) di carcere e la responsabilità genitoriale se non mandano i figli a scuola.

Emergono lampanti le prime criticità della riforma rispetto all’esigenza di rieducazione nei confronti del minore. Le modifiche in atto sembrano, più che essere finalizzate alla rieducazione, indirizzate a finalità esclusivamente punitive e sanzionatorie.

Entrando nel merito del decreto approvato, sono presenti diverse norme sul piano penale e procedurale. Il testo è un “mosaico” di modifiche ad altre leggi: tra queste figure anche il sopra citato D.P.R. 448/1988, cioè il codice del processo penale minorile. Il primo punto critico è proprio dato dal fatto che le norme per la repressione dei reati commessi dai più giovani già esistevano prima della attuale lotta alle baby gang. Erano già previste e applicate, anche per i minori, misure come l’arresto in flagranza, il fermo e la custodia cautelare: il codice del processo penale minorile ricalca infatti in gran parte il sistema previsto per gli adulti, con alcuni criteri guida per evitare la stigmatizzazione e favorire il reinserimento sociale. In particolare, è vietata la diffusione mediatica di informazioni sull’identità dei minori coinvolti ed è prevista l’attivazione di servizi di assistenza minorile, oltre al coinvolgimento di chi esercita la potestà genitoriale.             

Il secondo punto di criticità è rivolto ad una modifica di particolare gravità: la reintroduzione di una norma dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale. La riforma prevede, infatti, la custodia cautelare in carcere in caso di pericolo di fuga del minore, ossia la stessa identica norma che la Consulta dichiarò incostituzionale con la sentenza 359 del 2000. A tal proposito, anche il diritto internazionale minorile considera la custodia in carcere come misura da evitare, per scongiurare il rischio che il giovane entri in contatto con un ambiente criminogeno ancor prima di un'eventuale condanna. La custodia cautelare, infatti, andrebbe disposta solo quando "sussistano gravi e inderogabili esigenze istruttorie ovvero sussistano gravi esigenze di tutela della collettività", tra cui non rientra il pericolo di fuga. Vengono in tal modo calpestati i principi del processo minorile.

Il decreto Caivano, inoltre, inasprisce le sanzioni e abbassa i limiti entro cui è possibile ricorrere, anche per i minorenni, a misure di prevenzione come il “Daspo urbano”, il divieto di accesso a locali pubblici, l’ammonimento del questore. Si anticipa così la repressione, in ottica di prevenzione dei reati, valutata da autorità dipendenti dall’esecutivo sulla base di indizi di pericolosità sociale. Emerge, quindi, una terza criticità: l’allargamento delle misure, con l’anticipazione della repressione, aumenta i rischi di discrezionalità nell’applicazione di provvedimenti che comunque limitano la libertà delle persone nonché la violazione della riserva di giurisdizione.

La tutela penale minorile è un tema intricato, che richiederebbe serietà di analisi ed inventiva di soluzioni tese alla costruzione di una comunità che aderisce ad un sistema di valori piuttosto che al rispetto di regole per timore della punizione. Siamo ben distanti, da quell’ottica garantista oggetto di conquista finalizzata alla minima offensività del processo nei confronti di un soggetto di giovane età, la cui personalità è esposta alle influenze esterne ben più di quanto accada per un adulto ed il cui coinvolgimento nella vicenda processuale potrebbe risultare irrimediabilmente dannoso.

La storia ci ha insegnato (o forse no?) che la giustizia “di pancia” che interviene sull’onda di fatti di cronaca pur gravi, finisce, quasi sempre, per calpestare il senso di sistemi che sono stati il frutto del dispiegarsi dinamico di conquiste scientifiche maturate nel corso di decenni. Confondere, come ha fatto il Governo, l’apparente maturità del minore sulla base dei suoi comportamenti dimostra, purtroppo, un approccio semplicistico e repressivo del problema.

La partita si gioca sulla formazione ed educazione che, seppur timidamente, il decreto sembra aver intercettato con le norme che prevedono investimento di risorse sulla formazione scolastica e sul contrasto all’abbandono scolastico senza però, aver avuto il coraggio e la lucidità di percorrere, esclusivamente, quella strada. Una strada già tante volte annunciata, mai percorsa. Ci auguriamo che ciò non avvenga e che non resti, ancora una volta, solo la figura di uno Stato repressivo che non riesce ad educare i suoi giovani.

Roma, 13 settembre 2023

L’ Osservatorio Carcere