21/05/2024
La riflessione dell'Osservatorio Corte Costituzionale sulla sentenza n. 86 del 2024

Pubblichiamo il commento dell'Osservatorio Corte Costituzionale UCPI, alla recente sentenza n. 86 del 15 maggio 2024, con cui la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, co. 2 c.p. – c.d. rapina impropria.

La Corte costituzionale con la recente sentenza n. 86 del 15 maggio 2024 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, co. 2 c.p. – c.d. rapina impropria - (e quella in via consequenziale dell’art. 628, co. 1 c.p. – c.d. rapina propria -) nella parte in cui non prevede che la pena possa essere diminuita fino ad un terzo quando il fatto risulti di lieve entità (nel caso, in esame, il Giudice rimettente lamentava che il delitto di rapina impropria aggravata dalla pluralità di autori imponesse una pena minima di anni 6 di reclusione assolutamente sproporzionata rispetto alla gravità del fatto contestato sia per il valore dei beni di circa € 6.00, sia per le modalità della condotta: frasi minacciose e una spinta).

La pronuncia della Consulta consolida l’orientamento giurisprudenziale che sanziona con l’illegittimità costituzionale le pene sproporzionate per violazione degli art. 3 e 27, co. 1 e 3 Cost. In tal senso si esprime il Manifesto del diritto penale liberale e del giusto processo (§8).

Oltre al riferimento al principio di eguaglianza (in chiave triadica con riferimento all’analogo reato di estorsione, già investito dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 120 del 2023, utilizzato quale tertium comparationis) la motivazione sottolinea che “l’esigenza dell’attenuante in questione – in misura non eccedente un terzo, come vuole la regola generale dell’art. 65, primo comma, numero 3), cod. pen. – trova fondamento costituzionale anche nei principi di individualizzazione della pena e di finalità rieducativa della stessa”: altrimenti, da una parte, “un trattamento manifestamente sproporzionato rispetto alla gravità oggettiva e soggettiva del fatto, e comunque incapace di adeguarsi al suo concreto disvalore, pregiudica il principio di individualizzazione della pena”, dall’altra, “il precetto di cui al terzo comma dell’art. 27 Cost. vale tanto per il legislatore quanto per i giudici della cognizione, oltre che per quelli dell’esecuzione e della sorveglianza, nonché per le stesse autorità penitenziarie: il principio della finalità rieducativa della pena è ormai da tempo diventato patrimonio della cultura giuridica europea, particolarmente per il suo collegamento con il “principio di proporzione” fra qualità e quantità della sanzione, da una parte, ed offesa, dall’altra”. Di conseguenza, “in presenza di una fattispecie astratta connotata, come detto, da intrinseca variabilità (…) e tuttavia assoggettata a un minimo edittale di rilevante entità, il fatto che non sia prevista la possibilità per il giudice di qualificare il fatto reato come di lieve entità in relazione alla natura, alla specie, ai mezzi, alle modalità o circostanze dell’azione, ovvero alla particolare tenuità del danno o del pericolo, determina la violazione, ad un tempo, del primo e del terzo comma dell’art. 27 Cost.”.

Roma, 21 maggio 2024

L’ Osservatorio Corte costituzionale UCPI