Nelle pieghe di un “decreto infrastrutture” un ulteriore tentativo di marginalizzazione del ruolo dell’avvocato col conseguente ridimensionamento del diritto di difesa. Il documento della Giunta e dell’Osservatorio Cassazione.
Il Governo interviene con una normativa d’urgenza sulle regole che disciplinano l’udienza davanti alla Corte di Cassazione. Secondo le peggiori tradizioni del nostro legislatore, questa disciplina è collocata in coda ad un “Decreto infrastrutture” e dunque alla regolamentazione delle concessioni autostradali, al rafforzamento della fondazione lirico sinfonica del Petruzzelli, al sostegno delle imprese italiane nel continente africano, ed altre disposizioni totalmente estranee al processo penale: qualcosa che richiama alla memoria la riforma del Testo Unico sugli stupefacenti inserita, con un evidente eccesso di delega, all’interno di un decreto legislativo avente ad oggetto le Olimpiadi Invernali.
L’articolo 11 del Decreto legge, intitolato Modifiche al codice di procedura penale per l’efficienza del procedimento penale, già condizionato da un contesto normativo totalmente disomogeneo, sembra sostituire con una efficienza in termini puramente quantitativi la necessaria qualità della giurisdizione, sovrapponendo ai connotati tipici della funzione nomofilattica della Corte di Legittimità e ad una necessaria risposta in termini di giustizia un profilo di efficientizzazione puramente meccanico.
La camera di consiglio, senza la partecipazione delle parti, è diventata la regola generale, fatta salva la possibilità di chiedere la trattazione orale; i termini, venticinque o quindici giorni liberi prima dell’udienza, a seconda che sia pubblica o camerale, diventano di fatto sfuggenti e quasi impraticabili, poiché l’avviso di fissazione deve essere notificato, rispettivamente, trenta o venti giorni prima dell’udienza. Sempre in ossequio all’efficienza, meno al diritto di difesa, i termini sono stati tutti sensibilmente ridotti, da quelli per la notifica a cascata per la proposizione di motivi nuovi e memorie. La formula innovata dell’art. 611 c.p.p. vi impatta sensibilmente e sul rito camerale riduce a dieci giorni antecedenti quelli per presentare motivi nuovi e memorie ed a soli tre quelli per le repliche: tempi pericolosamente ridottissimi per consentire un adeguato esercizio del diritto di difesa soprattutto se correlati alla previsione del periodo aggiunto al comma quinto dell’art. 611 c.p.p. che, si ribadisce, indica in “almeno venti giorni” la notifica dell’avviso di fissazione dell’udienza camerale.
Il quadro si inserisce nella cornice tratteggiata da un decreto emanato in perfetta coincidenza con lo spirare – proprio a fine giugno – della disciplina emergenziale che per le udienze camerali postulava la notifica della requisitoria scritta cui opporre memorie di replica e che – allo stato – il difensore dovrà autonomamente procurarsi, con una inevitabile dilatazione dei tempi.
Siamo, pertanto, di fronte ad un ulteriore tentativo di marginalizzazione del ruolo dell’avvocato col conseguente ridimensionamento del diritto di difesa, dimenticando che l’art. 24 Costituzione è finalizzato a garantire l’effettività della tutela dei diritti del cittadino, e deve pertanto in ogni caso trovare la sua massima espansione, non potendo essere mai recessivo neppure di fronte alla carenza di risorse strutturali ed umane. Non potendosi mai immaginare che l’intervento in udienza del difensore possa essere valutato come una limitazione e non come un incremento della qualità della decisione ed un vantaggio per la stessa giurisdizione.
Roma, 3 luglio 2024
La Giunta
L’Osservatorio Cassazione