03/06/2024
Le tv nazionali raccontino le vergognose condizioni dei detenuti nelle carceri

Basta disinformazione sulle carceri. Diamo voce a chi non ha più voce. Il documento della Giunta e dell’Osservatorio Carcere UCPI

Quando attraverso la televisione pubblica nazionale si offre alla pubblica opinione una distorta ed irreale visione sulle condizioni detentive italiane, oltre che rendere un cattivo servizio di pubblica informazione, si rende un pessimo contributo al miglioramento delle condizioni in cui sono costretti a vivere i detenuti nelle carceri italiane.

Quello che è avvenuto nei “cinque minuti” di Bruno Vespa dedicati, in prima serata sulla prima rete televisiva, alla condizione da “detenuto italiano” di Chico Forti, è emblematico sulla disinformazione sulle condizioni dei detenuti nelle carceri italiane.

Siamo davvero felici che finalmente al nostro “Chico”, proclamatosi sempre innocente, sia stato consentito il rientro in Italia per la prosecuzione della sua detenzione. Una mosca bianca rispetto agli oltre 2.600 italiani, detenuti all’estero, molti dei quali nella vana attesa di un rientro nel nostro Paese.

Così come non siamo per nulla dispiaciuti che sulla vicenda ci sia una particolare attenzione mediatica.

Ma non è il primo caso e non sarà l’ultimo per cui i riflettori dei media si accendono a comando, a seconda degli interessi politici, purtroppo senza intenzioni migliorative sul sistema carcere.

Sui tempi eccezionali per la concessione del permesso, oltre che felici e particolarmente sorpresi, siamo finalmente speranzosi che i tempi biblici, normalmente usati nei riguardi della generalizzata comunità dei detenuti, siano (sarà proprio così?) un ricordo di un immobilismo oramai superato.

La trasmissione di Bruno Vespa sul caso Forti, tuttavia, rappresenta una cattiva informazione, anzi una vera e propria opera di disinformazione rispetto alle condizioni in cui si trovano gli oltre 61.000 detenuti nelle nostre carceri.

Nei “cinque minuti” di pubblicità-regresso si è assistito alla falsa celebrazione ed esaltazione delle “dorate” condizioni detentive italiane. Carceri presentati come un Grand Hotel in cui gli ospiti possono liberamente banchettare con piatti e pietanze prelibate, al pari di famosi ristoranti stellati.

Eppure, se solo le telecamere delle Tv nazionali si recassero nelle varie sezioni del carcere di Verona, al pari di qualunque altro carcere d’Italia; se solo si introducessero all’interno di celle ammuffite e ammorbate dagli odori del sovraffollamento; se solo si soffermassero ad osservare le “latrine”, spesso alla turca, su cui ingegnosi detenuti hanno approntato doccette di emergenza, adiacenti a piccoli ripiani usati per cucinare qualche pasto; se solo riprendessero le numerose brande, l’una sopra l’altra fino al tetto, in cui si trovano appollaiati tra 10 e 15 detenuti per cella; se tutto ciò avvenisse, si offrirebbe a tutti i cittadini, primi fra tutti ai nostri legislatori, nazionali e regionali, ai tanti magistrati, mai recatisi in visita nelle carceri, l’opportunità di comprendere quanto, nel nostro “Bel Paese”, l’esecuzione della pena avvenga in palese violazione dell’art. 27 della Costituzione, costringendo la popolazione detenuta a trascorrere le giornate in condizioni davvero disumane e per nulla dignitose.

Nel silenzio dei media, giorno dopo giorno, si sta consumando una vergognosa tragedia umana. Proprio nel giorno in cui si è celebrata la Festa della Repubblica italiana è giunta l’ennesima drammatica notizia di due detenuti che hanno deciso, in carcere, di porre fine alla loro sofferenza.

Sono 38 i suicidi accertati, dall’inizio dell’anno, e altri 52 sono i morti per malattia o causa non ancora accertata.

Morti in custodia dello Stato, nel silenzio generale, senza che nessuna televisione nazionale accenda i riflettori del Paese per sollecitare, così, immediati interventi ad un governo e ad un Parlamento distratti e insensibili rispetto al dramma delle carceri.

E in tale indifferente silenzio si fanno invece strada iniziative legislative con le quali l’attenzione al mondo carcerario viene  ridotta alla sola dimensione contenitiva e repressiva, in chiave securitaria, a partire dalla introduzione del reato di rivolta commesso anche con condotte non violente di disobbedienza e resistenza passiva (DDL 1660), per seguire con l’istituzione di corpi speciali anti-rivolta della Polizia Penitenziaria (GIO), e per concludere con ipotesi di attribuzione di una competenza straordinaria alla Procura Generale e all’Avvocatura dello Stato per i fatti concernenti l’uso delle armi o di altro mezzo di coazione  fisica da parte di agenti o di ufficiali di pubblica sicurezza (Emendamento che introduce l’art. 335-bis c.p.p.).    

È per queste ragioni che l’Unione delle Camere Penali ha deciso, di piazza in piazza, di città in città, di regione in regione, di dare voce, attraverso una maratona oratoria itinerante, a tutti coloro che, dentro le carceri, non hanno più diritti e soprattutto voce.

Basta disinformazione. Per ottenere una riforma radicale del sistema penitenziario e dell’esecuzione penale, e per porre fine alle condizioni disumane e degradanti delle carceri italiane, occorre anche una narrazione e soprattutto una visione delle carceri italiane finalmente aderente alla cruda realtà.

Roma, 3 giugno 2024

La Giunta

L’Osservatorio Carcere UCPI